T utto vero, e tutto noto da tempo alla Corte europea dei diritti dell'Uomo. A tre giorni dalle rivelazioni sui colloqui tra Silvio Berlusconi e il giudice Amedeo Franco, relatore in Cassazione del processo per i diritti tv al leader di Forza Italia, emergono due elementi che per la difesa del Cavaliere dimostrano la solidità delle sue tesi. E sopratutto, secondo i legali, fugano il sospetto di una rivelazione lanciata fuori tempo massimo, aspettando la morte di Franco - avvenuta lo scorso anno - per non correre il rischio di venire smentiti, o accusati di avere travisato il pensiero del magistrato. «Credo che ristabilire la verità sia nell'interesse non solo di Forza Italia o mio personale, ma di tutti gli italiani», scrive Berlusconi in una lettera al Riformista.
Il primo elemento è contenuto nella nota che i due difensori di Berlusconi, Franco Coppi e Niccolò Ghedini, diffondono ieri per negare di avere tenuto nel cassetto il file audio dell'incontro Franco-Berlusconi fino alla scomparsa del magistrato. «Tale indicazione è inveritiera poiché già nel marzo del 2016 i difensori del presidente Berlusconi avevano notiziato la Corte europea dei diritti dell'uomo della sussistenza delle dichiarazioni del dott. Franco ponendole a disposizione della Corte». «Del resto - aggiungono - lo stesso Berlusconi in numerose occasioni pubbliche anche precedentemente ne aveva dato conto e mai il dottor Franco lo aveva smentito. Non vi è stato dunque ritardo alcun nel porre tale documentazione a disposizione dell'Autorità competente ma solo l'attenzione di non rendere pubbliche nella loro integralità le dichiarazioni in oggetto per le evidenti ragioni già a suo tempo espresse». Il deposito, avvenuto nel marzo scorso, alla Corte di Straburgo delle trascrizioni integrali e dei file delle due conversazioni non avrebbe dunque fatto che confermare e dettagliare quanto era già stato anticipato nelle sue linee principali.
Il secondo elemento arriva da Cosimo Ferri, deputato di Italia Viva, che in una dichiarazione alla Verità conferma l'indiscrezione riportata dal Giornale: era lui il terzo uomo presente agli incontri tra il Cavaliere e il giudice Franco, quello che nelle trascrizioni viene indicato come VM2, «voce maschile 2». Ferri, all'epoca sottosegretario alla giustizia nel governo Letta, ricostruisce la genesi degli incontri, scaturiti da un suo incontro casuale con il giudice nei pressi del Ministero, «era un po' agitato e mi chiede sei in grado di prendermi un appuntamento con Berlusconi, visto che sei sottosegretario? Mi dice che ci teneva molto a incontrarlo». Ferri, che è stato presente dall'inizio alla fine, non smentisce in nulla il succo degli incontri come emerge dai nastri, e cioè la convinzione di Franco che la condanna di Berlusconi fosse stata non solo ingiusta ma anche eterodiretta: tant'è vero che si stupisce per la decisione del magistrato di firmare comunque la sentenza.
Franco, insomma, quelle cose le ha dette, e ora diventano un elemento chiave in mano alla difesa di Berlusconi per sostenere davanti ai giudici di Strasburgo la tesi del complotto politico. Solo così si spiegano le reazioni quasi brutali che dall'interno della magistratura piovono sul collega non più in grado di difendersi. Su Amedeo Franco viene scaraventato ieri un editoriale di Questione Giustizia, l'organo di Magistratura Democratica, in cui il «cattivo» della vicenda diventa lui, Franco, cui vengono rinfacciati - nell'ordine - un reato, un illecito e un sospetto: il reato sarebbe stato rivelare a Berlusconi l'andamento della camera di consiglio del suo processo, l'illecito avere firmato una sentenza in cui non credeva. E poi si lancia l'ipotesi più infamante: «non sappiamo se la conversazione si sia svolta in un momento nel quale il magistrato era amareggiato per essere stato raggiunto, nel marzo del 2017, da una accusa di corruzione mossagli dalla Procura di Roma». Le registrazioni, come è noto da giorni, sono dell'inizio del 2014: eppure secondo la rivista di Md Franco era già amareggiato (e magari in cerca di aiuto) per un avviso di garanzia che gli sarebbe arrivato solo tre anni dopo.
Macchina del fango, insomma, su uno non più in grado di ribattere.
E ancora oltre si spinge l'ex procuratore della Repubblica di Torino, Giancarlo Caselli, che in un articolo sull'Huffington Post dice che Amedeo Franco andando da Berlusconi commise qualcosa di ben più grave della commistione quotidiana tra giudici e pubblici ministeri: «Coloro che inorridiscono per la tazzina di caffè del Pm e del giudice, poi non hanno nulla da ridire se un giudice si ritrova poi a colloquio vis à vis con l'imputato stesso».
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