Come giudice, Mariolina Panasiti non ha mai avuto paura di mettersi in rotta di collisione con il pensiero dominante, come quando azzerò la delicata indagine della Procura di Milano sui dossier di Telecom. E adesso che decide di correre da sola per il Consiglio superiore della magistratura non si smentisce. La sua candidatura diventa un atto di accusa contro le correnti organizzate dei giudici, che a due anni dall'esplosione dal caso Palamara «non hanno realizzato un percorso di rivisitazione critica».
Vuol dire che tutto continua come prima?
«La sensazione che sia cambiato troppo poco non è solo mia ma anche dei tanti colleghi che hanno salutato con entusiasmo la nascita di candidature autonome che adesso, per la prima volta, hanno concrete possibilità di successo».
Sarebbe una svolta epocale. La fine del controllo del Csm da parte delle correnti.
«Storicamente le correnti hanno avuto dei meriti, e anche io ne ho fatto parte a lungo. Erano luoghi di dibattito, palestre di elaborazione culturale. Oggi tutto questo non esiste più. Le correnti oggi sono agglomerati dove un dibattito interno non esiste più. Al posto del dibattito tra le diverse anime prevale l'ego del leader. La scelta dei candidati per il Consiglio superiore della magistratura rispecchia questa logica interna di ortodossia, di fedeltà alla linea. La conseguenza di questo meccanismo di selezione è che poi chi arriva al Csm risponderà sempre alle indicazioni della corrente».
Non è esattamente ciò che prevede la Costituzione.
«Lo so bene. Ma se tu sei un ranocchio e la corrente con un bacio in fronte fa di te un principe azzurro è ovvio che la tua autonomia resterà sempre limitata, condizionata. Se sei condizionato dal bacio in fronte non riesci a rendere un buon servizio ai colleghi che ti hanno votato. Il tuo riferimento resterà sempre il maggiorente che ti ha coltivato in prospettiva della tua elezione al Consiglio. Inoltre, dopo quello che è accaduto in questi anni, io credo che sia indispensabile che il nuovo Consiglio superiore della magistratura sia composto da colleghi che oltre ad essere intimamente imparziali appaiano tali anche all'esterno. La percezione è tutto: se deve apparire imparziale il giudice che commina una condanna all'ergastolo, devono apparire altrettanto imparziali i giudici che all'interno del Csm svolgono funzioni di altrettanta delicatezza come le nomine dei vertici giudiziari e i provvedimenti disciplinari».
Le correnti continuano a sostenere di essere uno strumento di garanzia della libertà e dell'autonomia dei magistrati.
«È vero il contrario. In questo paese ogni tanto si torna a lanciare l'allarme sui rischi che la magistratura correrebbe per le minacce di altri poteri. É un rischio immaginario, un rischio che non esiste, non siamo un paese totalitario, la magistratura oggi in Italia fa il suo dovere in piena libertà dai condizionamenti della politica. La verità è che i pericoli per la libertà dai magistrati non vengono dall'esterno della categoria ma dal suo interno. I rischi per la libertà del singolo magistrato sorgono all'interno stesso della magistratura, dai capi degli uffici che usano il loro potere per condizionarne l'operato: che non è quasi mai un condizionamento esplicito, brutale, ma si avvale sottilmente di mille strumenti, dall'assegnazione delle deleghe ai pareti in occasione degli avanzamenti di carriera. Questo vale sia per i giudici che per i pubblici ministeri. Il ruolo del Csm dovrebbe essere tutelare i colleghi da questi pericoli, ma questa tutela non c'è stata. Questa omissione non è casuale, è la conseguenza diretta del sistema in cui ci troviamo costretti a lavorare. Intendo dire che se tanto il membro del Csm quanto il presidente di un tribunale o il capo di una Procura sono entrambi figli della selezione fatta dai maggiorenti delle correnti organizzate, è quasi inevitabile che il magistrato senza alcun paracadute finisca con il non venire tutelato in alcun modo».
Cambierà qualcosa se al Csm arriveranno magistrati senza corrente?
«Dobbiamo provarci. Di sicuro non voglio andare lì per fare poi carriera: se verrò eletta finirò il mandato a tre anni dalla pensione».
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