Sopita l'emergenza Covid, in Parlamento hanno ricominciato a pensare al conflitto di interessi. Il 16 luglio il deputato grillino Giuseppe Brescia, presidente della Commissione Affari Costituzionali di Montecitorio, in qualità di relatore del provvedimento, ha presentato un testo base che unifica i tre disegni di legge sull'argomento, che hanno come primi firmatari, rispettivamente, Emanuele Fiano del Pd, Anna Macina del M5s e il dem Francesco Boccia. La proposta di Brescia, fedelissimo del presidente della Camera Roberto Fico, è ancora all'esame della commissione, dove saranno presentati e votati gli emendamenti. Ma i giallorossi hanno intenzione di correre. Infatti la discussione del provvedimento in Aula è stata già inserita nel calendario dei lavori, prevista per la prossima settimana. Davide Crippa, il capogruppo del M5s alla Camera, spera in un «iter rapido». E precisa, quasi a mettere le mani avanti: «Non è una legge contro qualcuno». Quasi potremmo dargli ragione. Perché a leggere il testo sembra una legge contro tutti, eccetto quelli che hanno pochissime esperienze politiche, pubbliche o manageriali. Insomma, il bacino da cui il M5s ha pescato per anni nella scelta della classe dirigente.
Tra le principali novità c'è l'ampliamento della disciplina sui conflitti di interessi per gli incarichi di governo nazionale anche per chi riveste ruoli nelle giunte regionali, nelle autorità amministrative indipendenti e nei comuni con più di 100mila abitanti. Tutti saranno equiparati al Presidente del Consiglio e a ministri e sottosegretari. In più si obbliga ogni Regione a fare una propria legge regionale sul conflitto di interesse entro sei mesi dall'entrata in vigore della norma ora all'esame della prima commissione di Montecitorio. Per i grillini si tratta di piantare una bandierina, dopo anni di urla sui presunti conflitti di interesse degli avversari politici. «Dopo decenni di attesa - dice Crippa - con noi al governo e in maggioranza in Parlamento, abbiamo il dovere di approvare quanto prima una legge seria e rigorosa sul conflitto di interessi».
Proprio sull'eleggibilità in Parlamento sono previsti i divieti più stringenti. Nessuna possibilità di sbarcare a Montecitorio o a Palazzo Madama per i sindaci e gli assessori dei piccoli comuni, ovvero al di sotto dei 20mila abitanti. «Non possono lavorare per il Comune dovendo stare a Roma», è l'obiezione che proviene dal mondo grillino, dove sono tutti ansiosi di approvare la legge nel minor tempo possibile. Nonostante attualmente siano moltissimi i sindaci e gli amministratori di questi comuni a sedere in Parlamento. Saranno ineleggibili i vice capi di gabinetto dei ministri. E - limitatamente alla circoscrizione dove hanno prestato servizio - tutti gli ufficiali delle Forze Armate. Nuove regole sui magistrati. Che possono essere eletti soltanto nel caso in cui non abbiano esercitato le loro funzioni nella circoscrizione di elezione almeno per due anni prima dell'accettazione della candidatura. Ineleggibili anche tutti i dirigenti, i consulenti legali, amministrativi e finanziari delle imprese in regime di autorizzazione e concessione dello Stato e di tutti gli enti pubblici: nazionali, regioni e province autonome.
Ma non è finita qui. Non poteva mancare la volontà punitiva nei confronti dei giornalisti. Un altro grande classico della retorica grillina.
Palazzo inaccessibile per direttori e vicedirettori di testate giornalistiche nazionali, a patto che si dimettano dalla carica 6 mesi prima della candidatura. Resta ben poco, ci verrebbe da dire, tra il serio e il faceto. E sempre scherzando potremmo parlare, con tutto il rispetto, di steward e bibitari. Ma non lo facciamo.
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