A metà mattinata, Matteo Renzi, il personaggio che ha mostrato di possedere doti profetiche più di qualsiasi altro protagonista della politica italiana, recita il suo vaticinio. «Ormai è fatta - spiega i grillini diranno di sì. In tre giorni o, al massimo, una settimana, avremo il governo». C'è da credergli, visto che diciotto mesi fa previde al sottoscritto, su questo giornale, che Draghi avrebbe lasciato «il borgo in Umbria e i quattro alani» (in realtà non si è mai capito se erano labrador o un unico bracco tedesco) per fare il presidente del Consiglio. Per il king maker dell'«Operazione Draghi», quindi, è uno scherzo pronosticare il cambio di spartito improvviso di Giuseppe Conte e del suo fido Roccobello Casalino e, data la frequentazione delle sagrestie, la loro capacità di escogitare scherzi da prete. L'ultima vittima è stato Giggino Di Maio. L'altra notte il ministro degli Esteri si è sfogato con un amico, raccontando i tentativi del premier dimissionario di sobillare l'assemblea dei parlamentari grillini contro il tentativo di Mario Draghi. «Mentre io tentavo - ha confidato - di portarli su una posizione dialogante, da Palazzo Chigi arrivavano sms per spingere chessò i due Gianluca, Perilli e Castaldi, a rilanciare la tesi Conte o morte. Addirittura Conte faceva promettere a Paola Taverna candidature a chi si schierava su questa linea. Giuseppe si era messo in testa che dopo il fallimento di Draghi la palla sarebbe tornata a lui. Invece, non è così. Semmai ci sarebbe da riflettere sul fatto che avendo contro Di Battista, per noi sarebbe meglio avere dentro la Lega che non Forza Italia».
Passano otto ore e puntuale Conte, alla faccia di Giggino, si trasforma in un'altra persona: in quattro e quattrotto abbraccia Draghi. Il premier dimissionario fa un discorsetto a piazza Colonna, un mezzo predellino modello Cav, per lanciare l'Alleanza sviluppo sostenibile (l'acronimo Ass è meglio non pronunciarlo di fronte ad un anglosassone), in cui apre al presidente della Bce, chiede un governo politico, manda in soffitta l'idea di fondare un partito e si candida alla guida dei 5stelle. Con Casalino che, da gran cerimoniere, posiziona il tavolo da dove il premier lancia il suo proclama in modo che le telecamere non riprendano Palazzo Chigi: «Sarebbe irrispettoso - si preoccupa lui, che appena 24 ore prima escogitava di tutto per far fuori Draghi - nei confronti del presidente incaricato». Così in poche ore siamo passati dall'«Abbasso Draghi» al «Viva Draghi»; dall'indisponibilità espressa martedì scorso, davanti ai ministri in teleconferenza, di entrare nel nuovo esecutivo («non vi preoccupate, non ci sarò») ad un mezzo sì; dal progetto di creare un nuovo partito a scippare la leadership del movimento a Di Maio. «Il posto di Conte - confida Roccobello - è lì».
E già, il Draghi Uno è il governo dei grandi rischi e delle grandi opportunità. Lo hanno capito tutti. E tutti giocano la loro partita, personale o politica. «Gualtieri - sussura ad un amico il viceministro dell'economia, Laura Castelli - mi ha detto che Draghi gli ha assicurato che sarà ancora al Mef e io con lui». Vero? Mah! Finora il premier incaricato non ha ancora detto se vuole fare un governo tecnico, politico o un mix. Ma in tanti si candidano ad entrarci. A cominciare da Nicola Zingaretti a cui piacerebbe l'Interno. L'unico che non ci pensa proprio, a quanto pare, è Renzi. La verità è che all'ombra di questo governo si svilupperanno grandi manovre, quelle sì, politiche. Ecco perché in molti, in un modo o nell'altro, vogliono esserci, anche perché dopo l'appello del presidente Mattarella di fronte alle grandi emergenze, chi risponderà «sì» entrerà a far parte di quel circolo ristretto dell'«arco delle forze della responsabilità»: nei fatti una riedizione riveduta e corretta dell'«arco costituzionale» d'antan (dato che sfugge a Georgia Meloni). Ad esempio, se Zingaretti, Conte, Di Maio, Bersani (e D'Alema dal di fuori) vogliono rinsaldare l'alleanza giallorossa per isolare Renzi, sul versante del centrodestra si presentano altre opportunità: Forza Italia ci sta, proprio per riprendersi il «centro» dello scenario politico. Oggi Berlusconi arriverà dalla Francia per incontrare Draghi. La Meloni vorrebbe votare contro, ma, proprio per evitare «l'auto-emarginazione», Ignazio La Russa la sta scongiurando di astenersi. Ma il punto centrale è la Lega a cui si presenta una grande occasione: l'ingresso nel governo Draghi, segnerebbe una sorta di Bad Godesberg sovranista; Salvini e i suoi, privati ormai con la fine di Trump di ogni riferimento internazionale, intraprenderebbero la strada di un processo di accreditamento verso Bruxelles e i nuovi padroni di Washington. In più sui temi programmatici la presenza della Lega sposterebbe il baricentro del governo Draghi più sull'area moderata, difendendo gli interessi dei lavoratori autonomi e degli imprenditori del Nord. E, dato da non trascurare, metterebbe in imbarazzo l'area di sinistra. Non è poco. «Attenti a non cadere - è il consiglio che ha dato allo stato maggiore del Carroccio, Giancarlo Giorgetti - nelle provocazioni che arriveranno da Pd e 5stelle. La parte più intelligente del Pd ha già capito che andremo al governo insieme, perché visto che quello di Draghi sarà un governo del presidente non lo decide né Zingaretti, né Grillo chi ci starà dentro». «Io sto spingendo per entrare - spiega Edoardo Rixi - però potrebbero esserci nomi indigeribili per noi per farci desistere, figli di una preclusione non detta nei nostri confronti. Io spero di no e spero, soprattutto, che questa non sia l'intenzione del Quirinale».
Appunto, la partita è troppo importante perché non ci siano trabocchetti. E l'arrivo della Lega scompaginerebbe non poco la sinistra. «Non credo alla fantascienza», esorcizza il pericolo Federico Fornaro di Leu. Mentre Matteo Renzi e Carlo Calenda, su questo punto d'accordo, quasi tifano. «Speriamo che la Lega faccia questo passo - osserva il Profeta di Italia viva : se entra, ammazza la linea folle di questa dirigenza del Pd». Ne ha ben donde Renzi, visto che sull'altro versante, Zingaretti e soci, vogliono ammazzare lui. «Noi - promette Francesco Boccia - bonificheremo quel pantano. Volevamo farlo ora. Visto che non è andata, lo faremo nei prossimi due anni».
«Grande la confusione sotto il cielo, perciò la situazione è favorevole», diceva Mao Tse-Tung. La citazione andrebbe a pennello anche per Draghi. In fondo la maggioranza ampia che probabilmente lo sosterrà, potrebbe tornargli utile pure per il Quirinale. Eh sì, perché questo governo potrebbe trasformarsi in un trampolino di lancio per il Colle: del resto nella storia della Repubblica, non è mai stato eletto un capo dello Stato, a cominciare dal primo Enrico De Nicola, che non avesse fatto prima il ministro o almeno il parlamentare. Se Draghi fosse rimasto fuori non lo avrebbero neppure fatto scendere in pista.
Solo che Tigellino-Travaglio in storia è un po' scarso.
Diceva appena una settimana fa in Tv, dimostrando di non capirci un tubo: «Se qualcuno vuole fare il governo Draghi, lo lanci. Chiamano Draghi così scopriranno subito che non è disponibile. E la piantano, visto che è un anno che parlano di una cosa che non esiste!». Travaglio dixit.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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