"I casi aumenteranno. Ancora troppi passaggi per fare un tampone"

Il direttore scientifico dello Spallanzani: "L'errore? Svuotare la sanità sul territorio"

"I casi aumenteranno. Ancora troppi passaggi per fare un tampone"

«Un unico servizio sanitario nazionale, universalistico, che garantisca il diritto alla salute tutelato dall'articolo 32 della Costituzione. No a 20 modelli diversi che aumentano le disparità anche all'interno della stessa Regione». Per Giuseppe Ippolito, direttore scientifico dell'Istituto nazionale per le malattie infettive Lazzaro Spallanzani di Roma, è questa l'unica scelta possibile a garanzia della salute dei cittadini anche in tempi di emergenza Covid-19.

Vi aspettate un rialzo della curva epidemica?

«Ci aspettiamo che gli italiani siano scrupolosi si attengano alle regole di prevenzione. Speriamo che l'aumento riguardi casi limitati e che le autorità sanitarie siano in grado di intervenire subito».

Tra quanti giorni potrebbero risalire i casi?

«La stima riguardo al periodo massimo di incubazione arriva a due settimane ma sappiamo che in 5/7 giorni in media abbiamo la manifestazione dei primi sintomi. Già all'inizio della prossima settimana avremo i primi segnali sull'andamento dei casi».

L'indice sul numero dei contagiati sotto quale soglia deve restare per evitare un nuovo lockdown?

«È presto per dare numeri precisi. Gli indicatori sono molti. L'R zero non è l'unico grilletto che automaticamente fa scattare le misure di contenimento. Da tenere sotto stretta osservazione le comunità chiuse come le Rsa».

Molti esperti e alcuni membri del Comitato tecnico scientifico hanno dichiarato che sarebbe stato meglio aspettare prima di riaprire.

«Il Comitato tecnico scientifico non vive fuori dal mondo. Siamo convinti che il Paese debba riguadagnare uno spazio di normalità. Ma come? Noi diamo le nostre valutazioni scientifiche e la politica decide. I dati sugli infetti sembrano positivi però abbiamo visto che in Germania l'indice di contagio ha avuto un'impennata subito dopo la riapertura. Il rischio è inevitabile: in quale percentuale lo riteniamo accettabile? Lo studio dell'Imperial College mostra che basta pochissimo per far riesplodere l'epidemia se non si rispettano le misure di sicurezza».

Ritiene che in alcune Regioni ci sia stata troppa attenzione alla cura e poca alla prevenzione sul territorio?

«L'epidemia è stata rapida e dilagante, ci ha colto di sorpresa. Ritengo che tutti gli operatori in tutte le Regioni abbiano dato il massimo. Hanno risposto al meglio rispetto al modello organizzativo del sistema sanitario nel quale operavano. Ma gli ospedali anche quando rappresentano un'eccellenza rispondono soltanto a una quota dei bisogni della popolazione. Occorre una riflessione sull'appropriatezza della prestazione sanitaria ma soprattutto occorre un unico servizio sanitario nazionale universalistico. Basta con lo Stato che paga i privati: così la sanità pubblica muore».

Da anni il servizio sanitario nazionale subisce tagli strutturali. I privati hanno coperto spazi lasciati vuoti.

«La Sanità pubblica ha ridotto le prestazioni spostandosi sul modello assicurativo ma questo aumenta le disparità tra i cittadini tra le Regioni e anche all'interno della stessa Regione e non è accettabile».

I servizi sanitari territoriali sono pronti per la Fase 2?

«Abbiamo medici di famiglia eccezionali: alcuni di loro sono morti per curare i pazienti affetti dal Covid-19. Altri non si fanno proprio vedere».

Molti medici di base hanno denunciato le carenze delle agenzie di sanità pubblica: settimane per avere il risultato di un tampone.

«Quei servizi sono stati svuotati, non hanno personale. E poi ci sono troppi passaggi tra chi deve eseguire le prestazioni e chi le eroga, un sistema lento che in tempi di epidemia è inaccettabile».

È possibile fare chiarezza sull'immunità e sulla terapia con il plasma?

«Non c'è patente di immunità.

Bisogna essere chiari: non sappiamo se chi si ammala poi è immune ed eventualmente per quanto tempo. Le polemiche sul plasma dai convalescenti come terapia sono irricevibili. È necessario che lo Stato emani un protocollo nazionale dopo una seria sperimentazione come prevede la scienza».

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