«La sensazione secondo cui noi staremmo per fermarci non è giusta». La frase del ministro della Difesa israeliano Yoav Gallant, seguita al ritiro di alcuni contingenti dalla Striscia di Gaza, è stata confermata in pieno. L'escalation del conflitto in Medioriente è dietro l'angolo. Oltre all'attacco a tappeto nel Sud della Striscia, ieri Israele ha colpito anche in territorio libanese, uccidendo con un drone lanciato su Beirut, Saleh al-Arouri, uno dei leader di Hamas, vice del capo dell'Ufficio politico del movimento e fondatore del braccio armato del gruppo, le Brigate Ezzedin al-Qassam. La mattina del 7 ottobre era a Doha, accanto al leader Ismail Haniyeh con cui celebrò la strage. Un'azione mirata che ha portato all'uccisione di almeno altre 5 persone con un palazzo che è stato parzialmente distrutto. Ma l'attenzione è tutta su quali saranno le conseguenze.
Libano infatti, volenti o nolenti, significa Hezbollah che nel Paese è fortissima. Nella capitale libanese a quanto si è appreso era in corso un summit di fazioni palestinesi, forse anche con esponenti di Hezbnollah. Il leader del movimento Hassan Nasrallah il 3 novembre scorso era stato molto chiaro dicendo che ogni scenario riguardo l'intervento diretto nel conflitto aperto e sarebbe dipeso dalle azioni israeliane. Ecco. Dopo settimane di schermaglie sotto forma di razzi verso Israele e risposte al confine tra lo Stato ebraico e il Libano, questo attacco, tanto efficace quanto eclatante, potrebbe segnare il superamento di quella linea rossa che aveva tenuto in qualche modo a bada i miliziani di Hezbollah. Cosa accadrà da oggi è da vedere ma intanto è giallo per il discorso di Nasrallah previsto per oggi in occasione del quarto anniversario della morte di Qassem Soleimani, generale dei Guardiani della Rivoluzione ucciso in Irak da un drone americano. Discorso cancellato, anzi confermato ma forse no. Sio vedrà ma è chiaro che qualcosa bolle in pentola. Hamas ha commentato l'attacco come «vile attentato sionista che non spezzerà la volontà del nostro popolo e non riuscirà a minare la nostra resistenza». Dura la reazione anche del governo libanese con il primo ministro Najib Mikati che parla apertamente di «crimine israeliano che mira a trascinare il Libano in una nuova fase di confronto», mentre la Jihad islamica attacca: «Israele pagherà il prezzo dei suoi crimini».
È evidente che questa nuova azione allontana ancor di più ogni potenziale spiraglio di dialogo e rappresenta la risposta pratica alle parole dei giorni scorsi. Hamas, attraverso mediatori qatarioti ed egiziani, aveva presentato una nuova proposta di accordo per il rilascio degli ostaggi ma Israele ha rifiutato, dato che tra le condizioni per aprire un dialogo c'era l'immediato cessate il fuoco e anche il totale ritiro delle truppe dalle Striscia. Anzi, mentre la zona calda del conflitto rimane quella Sud, le forze israeliane sono riuscite a prendere il controllo del Comando militare di Hamas nel settore Est di Gaza, una rete di 37 palazzi collegati da tunnel sotterranei che sono stati fatti esplodere.
Ma il fronte rischia di ampliarsi ancor di più. Oltre al Libano e alla Siria, dove Israele ha colpito diverse zone anche vicino a Damasco, esplode il caso Turchia. Già la posizione di Erdogan in sostegno ad Hamas e contro Israele era stata netta e ieri la procura di Istanbul ha emesso 46 mandati di arresto (33 già eseguiti) per persone accusate di lavorare per il Mossad, il servizio segreto israeliano.
Per i media turchi, i sospetti seguivano attivisti palestinesi e ne programmavano il rapimento. Si tratta solo dell'ultimo atto di una lunga guerra di spie che rischia di incendiare ulteriormente un fronte già caldissimo. Con il pericolo escalation che diventa sempre più concreto.
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