I grattacieli di Milano, la linea del Piave

La Procura milanese ritiene illegittime una serie di autorizzazioni a costruire, contestando, di fondo, l'intero impianto delle norme urbanistiche su cui il capoluogo lombardo in questi anni si è plasmato.

I grattacieli di Milano, la linea del Piave

I grattacieli di Milano, simbolo della città che traina l'economia del Paese, che rappresenta all'estero il design e la moda d'Italia, la capitale della finanza e dell'innovazione, quei grattacieli saranno la linea del Piave o l'ennesima Caporetto della politica?

Il provvedimento che segna la differenza tra riscossa e disfatta si chiama «Salva Milano», ma in realtà oggi potremmo ribattezzarlo «Salva Politica».

La vicenda in sé è nota e piuttosto semplice: la Procura milanese ritiene illegittime una serie di autorizzazioni a costruire, contestando, di fondo, l'intero impianto delle norme urbanistiche su cui il capoluogo lombardo in questi anni si è plasmato. Non sarebbero illegali alcuni permessi, frutto di illeciti, bensì la maggior parte dei cantieri: si parla di centinaia di opere sospese, un valore che si aggira intorno ai 2 miliardi di euro. Lavoro e benessere.

Di fronte a questa paralisi la politica decide di intervenire con una legge, che rappresenti la volontà degli organi democraticamente eletti, favorevoli a quello sviluppo. Per una volta i massimi rappresentanti della volontà popolare, il sindaco, eletto direttamente dai cittadini e il Parlamento, battono un colpo: i giudici perseguono i reati, ma spetta al legislatore stabilire il modello di crescita e sviluppo del Paese.

Nel clima degli ultimi anni sembra una presa di posizione epocale, con qualche mal di pancia a destra e una vera ondata di sconforto nelle forze moraliste della sinistra. La Camera dei deputati però approva il «Salva Milano», paradossalmente con il voto contrario di alcune forze politiche giustizialiste e moraliste che pure governano col sindaco Sala.

Cosa potrebbe ribaltare questo cammino in cui la politica sembra volersi riappropriare delle proprie prerogative, se non una nuova inchiesta? E infatti, puntuale, da un mare di intercettazioni e indagini, da quel Grande Fratello giudiziario che ormai ascolta e registra tutto, senza saper mai bene perché comincia e dove finisce, salta fuori il granello di sabbia per bloccare l'ingranaggio.

Un signore, un tecnico dell'urbanistica della città, avrebbe ottenuto dei favori da un costruttore. Lasciatemelo dire, modesti favori, vista la posta in gioco. E costui, da tecnico esperto, avrebbe anche parlato alcune volte con dei politici che si informavano sulle necessità della città. E si sarebbe confrontato anche con le associazioni dei costruttori.

Io, ovviamente, non conosco le carte e non dirò una parola nel merito della inchiesta. Ho due certezze: che le responsabilità penali sono personali e che sapremo l'esito di tale inchiesta quando l'intera edilizia milanese sarà ormai soffocata.

L'indagine però, e soprattutto il racconto che se ne fa, è tale da gettare una nuova ombra nera su Milano e i sui cantieri. Quella che dovrebbe essere la normalità di un confronto diventa una sorta di Spectre: i parlamentari che incautamente si informano sulle esigenze della città prima di scrivere una legge, diventano complici di chissà quale nefandezza, le imprese private che cercano di far valere i propri interessi, che sono interessi anche pubblici alla crescita, diventano, collettivamente, una nefasta lobby. Un assessore, che meritoriamente, criticava quel blocco delle costruzioni, intercettato, per il suo legittimo, e aggiungo, giusto convincimento si dimette.

Il racconto aggiunge un nuovo capitolo ad una storia che già ha cominciato da tempo a descrivere una Milano non più motore di Italia, ma sentina di ogni male: quei grattacieli che hanno risanato Porta Nuova, quelle torri che svettano a City Life non sono l'orgoglio di una nuova urbanistica, ma la plastica rappresentazione dí sordidi interessi. Tanto che pure l'uomo simbolo di questo sviluppo, architetto di quel Bosco Verticale che ha riempito libri e aule per seminari in tutto il mondo, deve essere arrestato.

Di fronte a tutto ciò, mi sarei aspettato dal sindaco, dalla sua maggioranza, dai partiti che lo sostengono, e che guidano Milano da circa tre lustri, una orgogliosa rivendicazione della crescita della città, dei suoi nuovi quartieri, del simbolo che rappresentano. Invece no. Il sindaco Sala abbandona il «Salva Milano», anzi, lo affonda. Le forze politiche che governano la città tirano un sospiro di sollievo: non dovranno con il loro voto assumersi nessuna delle responsabilità, che invece sarebbero proprio loro. D'altra parte chi è cresciuto nutrendosi di sano disprezzo e profondo sospetto per ogni iniziativa economica privata, già provava un filo di nausea a dover votare un provvedimento a favore di un comparto economico.

A qualcuno la mossa è riuscita: le colpe, presunte e da provare, di un oscuro funzionario, per la politica sono già diventate peccati collettivi di cui pentirsi. Ed espiare tornado nell'angolo. Poco importano la volontà di intere categorie economiche, il grido di dolore, oggi rinnegato, di un sindaco, il voto favorevole di un ramo del Parlamento. Più di tutto questo poté un ordine di custodia cautelare.

Ora toccherebbe al centrodestra, opposizione a Milano e maggioranza a Roma, cercare di incollare i cocci di questo disastro. E nella coalizione che governa il Paese c'è chi ragiona: ma se non interessa a Sala e ai suoi, perché dovremmo farlo noi? La risposta è una sola: perché interessa il Paese e soprattutto la dignità della politica.

Capisco che sia difficile aiutare un avversario, che pure denigra la tua mano tesa. Ciò che oggi può apparire tatticamente sbagliato, potrebbe essere ciò che strategicamente non salverà solo Milano, ma tutta Italia da una deriva fuori controllo.

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