Se ci fosse un termometro in grado di misurare il tasso della disperazione grillina, il suo livello massimo si chiamerebbe senza dubbio Di Battista. E, infatti, i pentastellati dopo aver aperto la crisi di governo salvo poi fuggire dalle proprie responsabilità, con un Luigi Di Maio sempre più scatenato negli attacchi ai suoi ex compagni e un partito allo sbando e preda di personalismi interni, hanno tirato fuori proprio il nome di Alessandro Di Battista come «nuovo» leader. Che è l'ultima spiagga, non quella di Capalbio, anche se molti grillini si sono già arenati da quelle parti. Lui, l'anima sinistra e terzomondista del movimento, il pacifista che flirta con dittature e teocrazie, il gemello diverso di Di Maio dai tempi dell'inizio dell'avventura pentastellata, lui che - proprio sul più bello - ha deciso di fermarsi per un giro e non entrare in un Parlamento che dai 5 Stelle era dominato. Di Battista il piacione, l'intellettuale fai da te che confeziona reportage commossi e partecipi per il Fatto quotidiano, l'unico all'interno del Movimento che - con una certa ragione - può dire di essere rimasto puro. O, forse, più correttamente di non essersi evoluto. Sì, perchè in Di Battista tutti i difetti del grillismo delle origini si sono fossilizzati. É come se lo avessero surgelato cinque anni fa e ora avessero riaperto il congelatore: una bella sbrinata ed è pronto per tornare in pista come se fosse nuovo di zecca. Non è cambiato nulla nel suo pantheon ideologico che va da Che Guevara a Beppe Grillo, passando per Maduro e gli ayatollah iraniani.
Così, i duri e puri grillini, ora si sono messi in testa che l'unica soluzione per uscire dall'impasse nella quale si è incastrato il Movimento sia il ritorno alle origini con l'usato garantito di Dibba. Che è un po' come vestire un vecchio da ragazzo pensando che ringiovanisca. E lui è lì che gongola: «Torno o non torno?», ripete sfogliando il fiore, perché in fondo è anche un hippy fuori tempo massimo: colleziona un po' tutte le ideologie vintage di sinistra. D'altronde, va ammesso, mentre tutti gli altri si divertivano nel luna park dei palazzi del potere, arraffavano poltrone, stipendi e posti al sole, lui se andava in giro coi sandali bucati per le periferie del mondo convincendosi che fossero il paradiso in terra. Ora è il suo momento, anche se più che il leader dovrebbe fare il curatore fallimentare, visto il bilancio politico dei cinque stelle.
Il rischio è che vengano polverizzati anche i piccoli miglioramenti che la vita parlamentare aveva apportato al grillismo più ruspante. Con Di Battista gli imprenditori ridiventerebbero prenditori, il capitalismo e il liberismo sarebbero considerati come sterco del demonio, il reddito di cittadinanza verrebbe ulteriormente esasperato e la filosofia del «vaffa» tornerebbe prepotentemente alla ribalta, il pauperismo e la decrescita felice sarebbero esaltati e il travaglismo diverrebbe il Vangelo.
Con il Dibba il Movimento tornerebbe all'anno zero,
anche quello di Santoro, probabilmente. Il problema è che in questi anni lui è rimasto immobile, fermo, granitico nelle sue posizioni di retroguardia. Ma tutto il resto del mondo si è mosso. Persino il Movimento 5 Stelle.
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