Una pausa di silenzio. Dopo le rasoiate del presidente Mattarella, qualche giorno di black out sarebbe stato un segnale positivo. Ma la magistratura, pure ai piani alti del Csm, torna già a dividersi e a puntare il dito. Il capo dello Stato giovedì era andato giù pesante, ricordando il «mercato delle toghe», «il malcostume dilagante», la «modestia etica» delle toghe che danno scandalo a ciclo continuo. Le intercettazioni del caso Palamara hanno alzato il sipario sul suk delle nomine, una guerra per bande cui hanno partecipato tutte le correnti, senza distinzioni ideologiche. Per questo, dopo l'intervento del Quirinale era lecito attendersi una tregua.
E invece la giostra è già ripresa, anche se con toni felpati e con argomentazioni giuridiche.
Nel mirino dei magistrati finisce Raffaele Cantone, appena nominato procuratore della repubblica di Perugia. Un incarico delicatissimo, perché è Perugia ad avere la competenza sui reati delle toghe romane ed è Perugia ad aver scoperchiato il vaso di Pandora delle conversazioni di Luca Palamara. Quell'ufficio strategico era scoperto, ma il Csm si è spaccato al momento del voto: Cantone ha vinto grazie ai voti della sinistra di Area, cui si sono uniti, in un'inedita alleanza, i laici di tutti i partiti, dalla Lega a Forza Italia e ai Cinque stelle.
Una divisione lacerante, ancora più drammatica nel momento in cui la credibilità della magistratura è ai minimi storici.
Il giorno dopo la requisitoria di Mattarella, le toghe della cosiddetta destra giudiziaria - che avevano sponsorizzato l'altro candidato, Luca Masini, procuratore aggiunto a Salerno - riaccendono le polemiche sull'elezione di Cantone.
«È stato nominato un magistrato - sottolineano i davighiani di Autonomia & Indipendenza - che non svolge funzioni requirenti dal 2007, con un passaggio sostanzialmente diretto da un importante incarico fuori ruolo di nomina politica all'incarico direttivo».
Insomma, il profilo di Cantone sarebbe troppo targato, per via della sua permanenza alla testa dell'Anac, l'Autorità anticorruzione, dal 2014 al 2019.
Insomma, per i davighiani Masini aveva più titoli di Cantone che invece ha prevalso per aver occupato una postazione di grande rilievo ai confini della politica.
Gira e rigira, la magistratura italiana e il Csm non riescono a individuare un criterio unitario per pesare le professionalità dei propri membri.
Ci si confronta senza trovare un'intesa sul candidato migliore, ma sappiamo che molte chiamate a ruoli dirigenziali non sono arrivate dopo un'attenta lettura del curriculum di questo o quel giudice, ma nell'accordo e nella spartizione sottobanco.
Dunque, i nodi di fondo restano irrisolti. Anche Magistratura indipendente non si tira indietro e invita a riflettere sugli incarichi «fuori ruolo di natura politica», bocciando di nuovo Cantone, già impallinato al plenum. E anche se le authority, come l'Anac, sono secondo molti studiosi organismi neutrali. Quindi senza alcuna contaminazione con il Palazzo.
In questo contesto il messaggio di Mattarella pare già superato. Riprende la guerriglia al Csm.
E si fa scuro il cielo sulla testa del Guardasigilli: nei Cinque stelle cresce la fronda contro Alfonso Bonafede, che avrebbe scaricato Nino Di Matteo dopo avergli promesso la direzione del Dap. Una mossa sconcertante che attende una spiegazione urgente.
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