"I moderati esclusi per 70 anni. Mio padre, un eroe rimosso"

I figlio di Alfredo Pizzoni: "Fatto fuori già il 27 aprile 1945"

"I moderati esclusi per 70 anni. Mio padre, un eroe rimosso"

Pietro Pizzoni, tanti italiani non lo sanno ma suo padre, Alfredo, è stato il capo della Resistenza fino al 27 aprile '45.

«Sì è meno noto di Pertini o Longo. Era un borghese, parlava tre lingue, era il presidente del Clnai ma fu fatto fuori, non volevano un moderato a capo della Resistenza. Gli tagliarono l'erba sotto i piedi».

Poteva essere un De Gaulle.

«Chissà. Forse primo presidente del Consiglio o ministro delle Finanze. Macmillan gli chiese se voleva fare politica, Allen Dulles, futuro capo Cia, lo guardava con favore, ma lui non amava la politica. Di Pertini diceva che era divisivo. I partiti non potevano accettare una sfilata con in testa Pizzoni e Cadorna. Se l'immagina? Le brigate Garibaldi certo erano la maggior parte sul piano militare, ma mio padre gestiva organizzazione diplomatica e finanziaria».

Che idee aveva? Chi era?

«Un liberale. Bersagliere, nella Grande guerra decorato per un combattimento in trincea. Nella Seconda si arruolò volontario. Era sulla Victoria affondata, dovette lasciare ma l'8 settembre, quando tutti se la tolsero, lui rimise la sua divisa. Gli Alleati si fidavano di lui e dettero 160 milioni al mese alla Resistenza».

Ha avuto onorificenze, ma nei libri quasi non compare.

«Fu dimenticato. Riconoscimenti sì, la Medal of Freedom e la bronze star, la Legione d'onore, in Italia fu Cavaliere di Gran croce. Ma nella pubblicistica non c'è. Le sue memorie furono pubblicate in edizione quasi clandestina, nonostante la stupenda prefazione di De Felice. Si ricordarono di lui nel decennale e intervenne commosso in Duomo. Gli proposero la presidenza del Pli ma rifiutò. Milano gli dedicò una via in periferia, allora sterrata, buche e pozzanghere, a guardarla ci venne il male al cuore. Ora è al Famedio».

Lo scontro fra le anime della Resistenza è in corso.

«La memoria della Resistenza è stata politicizzata e ciò tradisce la sua missione ideale. Il problema che non è stata accettata da tutta la popolazione e il Sud non l'ha vissuta. L'Anpi è più forte delle altre sigle, dovrebbe unire e farne un patrimonio della nazione».

L'Anpi dà una lettura pacifista della guerra di liberazione.

«La pace è un valore ma la guerra c'è, Putin ha fatto una guerra novecentesca, ricorda il Duce che voleva spezzare le reni alla Grecia. E Hitler, lo lasciarono fare: Renania, Sudeti, Danzica che aveva lingua tedesca».

Doveva essere fermato prima?

«Putin ha avuto l'impressione di poter fare ciò che vuole, di essere accolto coi fiori come il Fuhrer in Austria. Pensava che l'Occidente non reagisse, ha mandato pochi uomini, è fermo all'opzione militare. Qualcuno può dire che vuole trattare? È convinto di strappare parecchio. Finché non si rompe un corno va avanti».

Quella ucraina è resistenza?

«Sono due resistenze diverse, una ha la maiuscola, ma sì. Resistere è opporsi all'invasore, è ciò che fanno. Lo spirito è l'amor di patria, sacrificarsi per un ideale. Mio padre diceva: siamo stati chiamati difendere la nostra "alma mater"».

L'invio di armi è legittimo?

«Difendersi è un diritto,

scherziamo? Il concetto di pace è bello, il Papa fa bene, ma è il Papa. Altri lo usano in modo molto strumentale, pensando solo alla politica interna. Dell'Ucraina non gliene frega niente. Pensano a Roma, un difetto nostro».

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