La scadenza è quella fatidica del 4 dicembre. Fino al referendum - manco a dirlo - non si muoverà foglia. Poi dal Viminale arriverà il via libera alle requisizioni, finora più uno spauracchio per i comuni poco «accoglienti» con i migranti che una misura realmente applicata. Solo due strutture ricettive - una a Goro e una in provincia di Verona - sono state requisite finora per far fronte all'emergenza immigrazione, anche se la legge che le autorizza risale addirittura all'Ottocento. E le due sole strutture, tra proteste e trattative tra Viminale e sindaci, sono al momento ancora in attesa di accogliere materialmente gli ospiti stranieri per i quali erano state requisite.
Di fatto, però, le cose cambieranno all'indomani del Referendum costituzionale, quale che ne sia l'esito. Troppo scarsa l'adesione alle procedure Sprar (la rete dei servizi di protezione per i richiedenti asilo e i rifugiati) da parte degli enti locali, troppi i comuni che si sono rifiutati di accogliere migranti (hanno detto no circa 5.500 amministrazioni municipali su un totale di ottomila). Esemplare, secondo i responsabili del sistema accoglienza, proprio il caso della provincia di Verona. Con il capoluogo che ha scelto di accogliere, aderendo allo Sprar, caso unico rispetto a tutti i comuni della provincia che hanno invece opposto un totale diniego. E infatti uno dei due casi di requisizione già effettuati, quello di tre mesi a carico dell'hotel Cristallo di Castel d'Azzano, nel Veronese, ha visto come motivazione dell'ordinanza del prefetto proprio la mancata attivazione della procedura Sprar da parte degli enti locali sul territorio. La questione, lungi dall'essere solo veneta, si ripete dal Nord al Sud, con i «no» all'accoglienza che arrivano tanto dalle amministrazioni di centrodestra che da molte targate Partito democratico.
E di fronte a una chiusura troppo estesa territorialmente, mentre gli sbarchi continuano a portare altri migranti nei nostri confini, per il capo dipartimento immigrazione Mario Morcone e per il ministero dell'Interno la strada da battere sarebbe dunque proprio quella che sembrava servire da mera minaccia, ossia l'arma delle requisizioni. Evocata più volte da Morcone e dallo stesso ministro dell'Interno Angelino Alfano, potrebbe ora essere rispolverata e messa effettivamente in atto.
Sul punto ha chiesto lumi, ieri, anche il vicepresidente del Senato Maurizio Gasparri, di Forza Italia. «Ho presentato un'interrogazione urgente al presidente del Consiglio e ai ministri competenti per sapere a che ora e quando scatterebbe il piano straordinario di requisizioni, a danno degli italiani e a favore degli immigrati, previsto per il dopo 4 dicembre». Per Gasparri, sarebbe proprio un «annuncio» di Morcone a confermare il varo, rigorosamente post-referendum, di «un piano gigantesco di requisizione di immobili e alloggi per destinarli ai clandestini».
Ed è sempre Gasparri a mettere in relazione la dilazione temporale delle requisizioni con l'agguerrita campagna referendaria per il Sì dell'esecutivo. «Il rinvio a dopo la consultazione - prosegue infatti il senatore azzurro - è dovuto ovviamente al tentativo di non suscitare reazioni: chiediamo di far luce su questa intenzione abietta del governo».
Ora il piano, che il Viminale difficilmente confermerà prima
del 4 dicembre, può entrare nella contesa referendaria, almeno per i comitati del «no». «Questo maxi piano - conclude Gasparri - va sventato trasformando il referendum in un'occasione per difendere la proprietà privata».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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