I nuovi punti cardinali della bussola: M5s, Pd, sovranisti e il centro trasversale

I nuovi punti cardinali della bussola:  M5s, Pd, sovranisti e il centro trasversale

Seduto su un divano di Montecitorio Nico Stumpo, uno degli animatori di Liberi e uguali, osserva con distacco gli errori che collezionano nella grammatica politica coloro che si considerano ancora l'ago della bilancia, i grillini. «È inutile - osserva - tentare di capire la riforma della prescrizione di Bonafede. Lui ha studiato i testi di diritto da avvocato, ma a quanto pare non li ha capiti. È solo scemo». Sull'altro lato del Transatlantico, seduta su un altro divano, Giusi Bartolozzi, forzista siciliana, guarda in prospettiva agli spazi che potrebbe aprire in politica l'incompetenza 5stelle. «La riforma di Bonafede - spiega - è ispirata all'ignoranza. Lui tornerà ad essere Fofò Dj. Noi avremmo uno spazio enorme, ma dovremmo avere più iniziativa, fare come Renzi. Basterebbe organizzare un gruppo di venti persone per condizionare il momento politico. La Carfagna ci ha provato, ma le è mancato il coraggio...».

Giudizi, congetture, delusioni. Ieri anche Silvio Berlusconi nella riunione dell'ufficio di presidenza di Forza Italia ha ammesso che non ci sono più le elezioni dietro l'angolo e si andrà avanti fino al 2023. L'unico a pensare, o meglio a sperare, il contrario è Matteo Salvini. Questa convinzione generale ha messo in moto un processo politico che, complice anche una legge elettorale proporzionale, potrebbe cambiare, nella consapevolezza di pochi e nell'inconsapevolezza di molti, la geografia politica. Tirando in ballo la geometria non avremo più un arco con agli estremi due poli, centrodestra e centrosinistra, e con al centro un partito trasversale, cioè i 5stelle, determinante sia per fare il governo gialloverde, sia per sostituirlo con quello giallorosso; al suo posto ci sarà una circonferenza con ai quattro punti cardinali una sinistra (Pd e Leu) e al suo opposto una destra sovranista (Lega e Fdi), un «centro» massimalista (i grillini) e al suo opposto un centro moderato, ispirato al buonsenso (un'area che va da Renzi, passando per Calenda, fino a quella parte di Forza Italia che non accetta l'egemonia leghista). Gli equilibri di governo si formeranno coniugando due o tre di questi «soggetti» e questa operazione non metterà in competizione solo destra e sinistra, ma anche i due centri. Già sta avvenendo, basta guardare allo scontro sulla prescrizione e sulla vicenda Autostrade che vede duellare Renzi e i grillini. Uno scontro che sta mettendo in luce come l'incompetenza grillina, la subordinazione al network giustizialista del Fatto e dintorni, potrebbe sfociare in un'autoemarginazione del movimento, incapace di dialogare non solo con destra e sinistra, ma addirittura con la maggioranza dell'opinione pubblica: Bonafede è riuscito nell'ardua impresa di mettersi contro tutti gli avvocati e tre quarti della magistratura.

Di questo rischio, appunto, non è consapevole Di Maio, cioè l'inventore della teoria del grillismo «ago della bilancia», che ieri ha chiamato il movimento in piazza su vitalizi parlamentari e prescrizione, soggiogato dall'immagine del «rischio restaurazione» made in Travaglio. Un'incapacità di emancipazione da quei mondi che condivide con una parte del movimento. «Noi - spiega il sottosegretario Castaldi - non possiamo cedere su battaglie identitarie come la prescrizione o Autostrade, al costo di arrivare alla crisi di governo. Ceda Renzi e si accontenti delle nomine». «Non dobbiamo toccare nulla - è la tesi del ministro Patuanelli -: la legge di Bonafede è già in vigore ma avrà i suoi effetti solo tra due anni. Pensiamo al futuro, non al passato».

Chi, invece, ha colto il rischio di «un'emarginazione del movimento», del «centro» massimalista, è l'area più vicina a Conte. «Arroccarsi - sintetizza il ministro Federico D'Incà - non ha senso». «Una soluzione si troverà - assicura il ministro Spadafora - se non si è già trovata». «Con l'intransigenza - rileva Alessandro Amitrano - non fai l'ago dela bilancia, litighi con la destra e con la sinistra. Ti emargini e basta. Certi di noi non li capisco». Parole che testimoniano la preoccupazione di Conte, il quale da una parte cerca di individuare una mediazione che non umili Bonafede e i 5stelle, dall'altra sta intessendo rapporti in Parlamento (Carfagna, Paolo Romani, Rotondi) e fuori (Gianni Letta) per assicurarsi l'appoggio di un gruppo in cui potrebbero ritrovarsi parlamentari uniti nella difesa della legislatura, dai dissenzienti grillini ai dissenzienti forzisti. «Sono già in molti», ammette l'azzurro Dario Bond. Motivo per cui il Premier prende tempo.

Ma l'idea di temporeggiare senza «intesa» non dispiace neppure al «competitor» Renzi, che interpreta l'altro «centro». «Io - ha spiegato Renzi ai suoi - non ho fretta. Sulla prescrizione non cedo. Non inseriscono una mediazione sul mille proroghe? Allora voterò il disegno di legge Costa. Vado sotto sul provvedimento Costa? Lo ripropongo tale e quale al Senato a firma Renzi. Non lo mettono in calendario? Propongo la sfiducia individuale a Bonafede. Intanto passeranno tre-quattro mesi, arriveremo alle regionali e ad uno ad uno i forzisti e i grillini delusi verranno da me». Una strategia con la quale l'ex segretario del Pd punta a diventare il riferimento del centro liberale-riformista. «L'incompetenza grillina - è il suo ragionamento - dimostrerà che non possono essere loro il centro. Non capisco perché personaggi come la Carfagna non partecipino a questa operazione. Se vogliono andare con Conte, non c'è problema: io mi tiro fuori dal governo e lo sosterranno loro. In caso contrario, dovremmo unirci. Ma Mara non lo farà, sbagliando ancora una volta. Ad esempio, se si fosse candidata alle regionali campane, nelle condizioni date, io non avrei potuto non sostenerla».

Insomma, i processi politici si impongono al di là dei calcoli, le paure, le prudenze dei protagonisti. Basta guardare ai discorsi che si fanno in Forza Italia. C'è chi già guarda al rassemblement centrista. Enrico Costa ha già coniato il nome: Forza Italia viva. C'è chi invece, come confidava ieri Paolo Romani, sta per lanciare un gruppo parlamentare autonomo al Senato, con dentro carfagnani, totiani e Udc di Rotondi, che si guardi attorno, pronto a trattare sia con il premier Conte, sia con Salvini. E ancora chi è deluso per i tentativi finiti male. «La Carfagna - sospira Osvaldo Napoli - ha perso una grande occasione: ora ad uno ad uno finiremo verso Renzi o verso la Lega». E chi come Francesco Cannizzaro, uno dei trionfatori in Calabria, emette sentenze: «Salvini è finito. La Carfagna è fuori tempo massimo. L'operazione intelligente sarebbe mettere in piedi un soggetto di centro con dentro noi e Renzi, determinante per fare un governo o con la destra, o con la sinistra».

Insomma, riecheggia l'immagine dei quattro punti cardinali. Solo che i processi politici possono essere lunghi. A meno che non accada un evento che li acceleri, magari creando un terreno neutrale per favorirli. «Potrebbe esserci - teorizza Renato Brunetta - una spinta esogena.

Un governo che veda Draghi a Palazzo Chigi per prepararlo al Quirinale». Sembra di sentir parlare Renzi.

«Qui - diceva giorni fa Luca Carabetta, grillino con il sale in zucca - tra guerre, virus e voglia di Dc, c'è aria di unità nazionale».

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