I partiti divisi sulle armi

Trump destabilizza anche gli storici schieramenti politici italiani. E nell'opposizione ora tutti corrono in piazza, anche se ognuno va nella sua

I partiti divisi sulle armi

Si spacca la maggioranza. Si dividono le opposizioni. E tutti vanno in piazza ma la piazza di Calenda sta con Kiev, quelle di Salvini e Conte sono contro l'Europa, la piazza di Schlein è amletica. L'arrivo di Trump ha rimescolato le carte come non si vedeva da decenni e tutte le strategie vengono ridisegnate. Von der Leyen picchia il pugno sul tavolo, Macron si mette l'elmetto e Meloni cerca un passaggio a Occidente. Non è facile con Trump che strappa di continuo e tratta Zelensky come fosse a The apprentice. Meloni vuole tenere insieme Bruxelles e Washington ma è un esercizio di equilibrismo sempre più complicato. L'Italia prende tempo e dice no all'invio di soldati a Kiev. Però a non vuole abbandonare al suo destino l'Ucraina come invece sembrano voler fare i 5 Stelle e la Lega. Pezzi di maggioranza e di opposizione vogliono una sola cosa: la pace. La pace subito. La fine della carneficina, certo intollerabile per tutti, ma non solo. Interpretano la stanchezza di parte dell'opinione pubblica alle prese con il caro bollette e desiderosa di voltare pagina. L'Europa non può dissanguarsi per Kiev, meglio protestare contro Bruxelles e pure per la pace fiscale. Forza Italia e pezzi del Pd fanno notare che nessuno vuole la guerra, ma la tregua non può essere una resa alla brutalità del più forte. Così il conflitto diventa anche guerra delle parole. Vocaboli che disegnano traiettorie. Così Antonio Tajani spiega che quello di von der Leyen «non è un piano di riarmo ma di sicurezza». Schlein capovolge e Conte spariglia, denunciando la «furia bellicista» di Bruxelles. Tutti in piazza, ciascuno nella sua. E le faglie, come per i terremoti, attraversano perfino i partiti. Nel Pd Gentiloni e la minoranza riformista stanno con Bruxelles e mettono a tema il loro disagio. Ma gli eventi incalzano e certi margini di ambiguità dovranno prima o poi essere sciolti nella trasparenza delle scelte. La situazione è complessa, ma alcune decisioni saranno prese. Certo, chi finora criticava i balbettii e le incertezze dell'Europa ora è preso in contropiede dalla volontà della Ue di rincorrere il tempo perduto. Ma non sappiamo se sia un cambio di paradigma o un fuoco di paglia.

Fdi cuce gli strappi e chiede realismo

Le tessere del mosaico saltano, lei prova a rimetterle insieme. Tutti contro tutti, lei cerca di afferrare Trump che però di questi tempi procede a gomitate e non accetta consigli. Giorgia Meloni dice no all’invio di truppe in Ucraina, un’impresa che giudica velleitaria, e predica realismo: l’esercito europeo per non giocare una parte lillipuziana dovrebbe diventare una gamba della Nato. O qualcosa del genere. Il ministro dell’Economia,il leghista Giancarlo Giorgetti, giudica «frettoloso e privo di logica» il piano europeo. Freno e acceleratore, più freno che acceleratore, ma senza mandare per aria le alleanze. Il mondo va di fretta, a sinistra torna la seduzione pacifista. A destra si fa strada la Lega di lotta più che di governo, lei telefona a Trump ma incassa un doppio no: no all’ombrello della Nato per l’Ucraina, almeno sul versante del fondamentale articolo 5, e no al vertice USA Europa. Meloni cuce e rammenda, gli altri strappano.

Azzurri con Ursula. «Serve sicurezza»

«Non è un piano di riarmo, ma un piano di sicurezza», spiega Antonio Tajani. Nella guerra semantica che si combatte accanto a quella sul campo insanguinato dell’Ucraina, il vicepremier si allinea alle posizioni di Ursula von der Leyen, presidente della Commissione europea che vuole mettere sul piatto 800 miliardi per «un’Europa sicura e resiliente». Il coordinatore di Forza Italia Tajani la pensa allo stesso modo e d’altra parte sulla stessa linea si muove la nuova stella del firmamento tedesco, il popolare Friedrich Merz, vincitore delle elezioni politiche, che sta spingendo con una velocità sconosciuta a Berlino perché il Governo in carica fino al 25 marzo finanzi un maxi piano a debito. Un bazooka da 800 miliardi: in gioco l’idea di rendersi indipendenti nell’arco di dieci anni dagli USA che smobilitano, dando la sensazione di abbandonare l’Ucraina ma anche l’Europa.

Salvini incalza e predica pace

Ognuno ha la sua piazza. Anche la Lega che parte con mille gazebo in ogni ai volo del Paese domani (sabato 8) e domenica 9 marzo, mettendo insieme cartelle e carrarmati. «Pace in Ucraina, finalmente - fui a in un video Matteo Salvini - e pace fiscale in Italia. La Lega chiede la fine della guerra nel momento in cui Macron e von der Leyen parlano di invio di truppe e di maggiori spese militari di un esercito europeo». La Lega, o meglio il suo leader, dice no e ancora no e si muove come una spina nel fianco della coalizione che cerca un difficile equilibrio fra spinte e controspinte. Basta con le armi, dunque, avanti con la rottamazione di milioni di cartelle esattoriali. E pazienza se tutto questo preoccupa la premier, innervosita dalla guerriglia interna.

E il presidente dei senatori del Carroccio, Massimiliano Romeo, si dice convinto che Meloni «terrà conto» delle varie posizioni e sensibilità nel governo e nel centrodestra.

Il «né...né» di Elly spacca i dem

Elly punta il dito contro l’Europa che vuole riarmarsi, non si distingue quasi da Avs ma la minoranza interna riformista sbuffa: «Non è l’Europa che ha cominciato questo conflitto». Schlein si smarca da Meloni, sceglie la piazza di Michele Serra, apparecchiata per il 15 marzo in un tripudio di bandiere Ue, trova e non trova un punto di accordo con lo sgusciante Conte. Né con Putin e neppure con Zelensky, certo non con Trump e neppure con von der Leyen e, insomma, alla fine con chi? Paolo Gentiloni sta con l’Europa, sulla stessa latitudine dei leader della sinistra europea, e mette il dito nella piaga: «È chiaro che il Piano Rearm può essere migliorato.

Però nelle ore difficili che stiamo attraversando è un primo passo nella direzione giusta».

Dario Franceschini e Andrea Orlando coprono la segretaria, lei rilancia: «Alla Ue serve la difesa comune, non il riarmo nazionale. Due cose molto diverse».

Che vuol dire? Distinguo. Precisazioni e piazze divise. Mai con gli altri, anche se sono con te all’opposizione.

Conte cavalca l’onda pacifista

Giuseppe Conte il pacifista.

Contro la guerra e contro l’Europa che secondo lui va alla guerra. Il Pd sì divide, lui ironizza: «Si mettessero d’accordo». Poi ricorda la sua filosofia: «Il Movimento 5 Stelle è sempre stato contrario a investire soldi nelle armi». La von Der Leyen mette sul piatto 800 miliardi, lui replica gelido: «Siamo fortemente in dissenso». «Il blu dell’Europa si tinge di verde militare, è una furia bellicista che contrasteremo in ogni modo. Di quegli 800 miliardi trenta sono per l’Italia. Trenta miliardi sottratti alle famiglie e alle imprese».

Duro. Senza se e senza ma. Come Bonelli e Fratoianni di Avs che ripetono sempre e solo lo stesso mantra di una parola: no. L’importante per Conte è non accodarsi a nessuno. La Lega, che ha la stessa postura antibellicista, programma la piazza come fosse all’opposizione per l’8 marzo, il Pd si prepara per il 15, lui sul calendario segna il 5 aprile. Perché non il 15 marzo? «Perché diciamo no all’Europa del riarmo». Meglio soli che con Schlein sul palco.

Calenda con Kiev Renzi anti-Ursula

Carlo Calenda è il primo a manifestare domenica scorsa: «Siamo qui per dire che gli ucraini non sono soli e perché ci siamo stancati di vedere l’Europa divisa che parla lingue diverse». L’opposizione si divide, ma lui si rivolge ala maggioranza: «Da questa piazza arriva al governo una richiesta di essere netto. Siamo europei e non siamo con un piede da un lato e un piede dall’altro». Tutti con Kiev. Anche Matteo Renzi che però già che c’è butta giù Ursula von der Leyen: «Se c’è una persona che non è in grado di fare piani strategici in Europa è Ursula von der Leyen perché il Green Deal che ha fatto è stato un disastro».

I soldi che scandalizzano i leader dell’opposizione non sono invece un problema per il fondatore di Italia viva: «Si spendono già tanti miliardi in Italia, Francia, Germania. Dobbiamo mettere insieme i soldi che già si spendono per la difesa». Addirittura Renzi sogna l’esercito europeo, però come prima mossa vorrebbe la testa del «generale» che guida la Ue.

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