I politici baciati dallo stellone

Datemi una coppa e vi solleverò il Paese. Il calcio vincente è da sempre l'arma segreta di uno statista per mantenere il consenso e risplendere della luce riflessa di una grande impresa sportiva

I politici baciati dallo stellone

Datemi una coppa e vi solleverò il Paese. Il calcio vincente è da sempre l'arma segreta di uno statista per mantenere il consenso e risplendere della luce riflessa di una grande impresa sportiva. Un apporto indimenticabile di popolarità per i pochi che l'hanno provato. Sergio Mattarella a Wembley, il nonno discreto in tribuna con il soprabito, non ha bisogno di un trofeo per mantenere il suo gradimento elevatissimo, cementato dalla fermezza con cui ha tenuto per mano un Paese ammalato di Covid. Lui non ha mai giocato sulla passione da tifoso, sul tema trapelano solo vaghe simpatie per il Palermo e l'Inter. Ma la sua espressione fanciullesca da monello, quando ha abbozzato l'esultanza per il gol di Bonucci senza alzarsi, resterà nella storia d'Italia. L'hanno paragonato al ciclone Sandro Pertini che, trentanove anni prima allo stadio Bernabeu di Madrid, trascinò gli azzurri alla conquista della Coppa del Mondo contro la Germania, prima a braccia alzate, poi agitando l'indice davanti a re Juan Carlos sul 3-1: «Non ci prendono più!».

Anche Mario Draghi non è un frequentatore di stadi, ma la sua passione per la Roma non pare tiepida. Per lui la coppa europea di Wembley diventa un ulteriore premio a una carriera infinita. Se l'è ritrovata ieri a Palazzo Chigi e l'ha sfiorata come un passante divertito, ma se l'è goduta come l'ennesimo successo collezionato ad ogni incarico ricoperto (governatore Bankitalia, presidente Bce, primo ministro).

Nel 1982 del mundial spagnolo di Bearzot, la classe politica trattò come un usurpatore l'allora presidente del Consiglio Giovanni Spadolini, un grande intellettuale che non comprendeva il calcio tra le sue conoscenze infinite. Ma come uomo di comunicazione, ben più effervescente del suo striminzito Partito repubblicano, si precipitò a farsi fotografare tra Pablito Rossi con la Coppa e mister Enzo Bearzot. Un po' come fece 24 anni più tardi, anno di grazia 2006, il premier Romano Prodi che accolse ebbro di euforia capitan Fabio Cannavaro per ricevere la Coppa del Mondo appena vinta a Berlino contro la Francia. In quel caso fu rispolverato il leggendario «fattore C» del Professore, che già dai tempi della scuola veniva toccato dai compagni come un amuleto portafortuna. Si è sempre definito un «tifoso sfegatato» del Bologna, ma da molti quell'abbondanza calcistica fu vista come un tributo immeritato. Dissero lo stesso dell'ex capo dello Stato Giorgio Napolitano, un comunista algido anche nei confronti del football, che si fiondò negli spogliatoi di Berlino a festeggiare gli azzurri con una dichiarazione memorabile: «Sono stato sprizzato da aranciata e sudore».

Nel 1994 Silvio Berlusconi, allora a Palazzo Chigi, andò a un passo dal vincere la Coppa del Mondo come capo del governo. Ma la sconfitta ai rigori a Pasadena contro il Brasile gli impedì di collezionare l'ennesimo trofeo calcistico dopo quelli vinti con il suo Milan stellare.

E tutti sanno come un trionfo degli azzurri lo avrebbe potuto aiutare davanti a un Paese irrequieto dopo Tangentopoli, che avallò pochi mesi dopo il ribaltone ordito dal presidente Scalfaro. Ma lo stellone aveva deciso diversamente.

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