«Non siamo la priorità». Tra i precari della Rai monta la protesta nei confronti dell'Usigrai che ha indetto uno sciopero per garantire «i già garantiti». Gli indignati sono i circa 350 giornalisti che lavorano con contratti da «programmisti» o come collaboratori con partita Iva e che si ritrovano quotidianamente a discutere della loro situazione lavorativa nella chat «Fase 2 Giusto contratto».
La prima fase è quella che, nel 2020, in piena pandemia, ha visto la stabilizzazione dei primi 150 precari, mentre la fase è quella che doveva vedere l'assunzione dei restanti 235 ancora in attesa di un contratto. Tra loro, in questi giorni, si è molto discusso se partecipare o meno alla mobilitazione di ieri ed è addirittura partito un sondaggio all'interno della chat. Di questi 350 solo una cinquantina hanno esplicitamente votato «sì, scendiamo in piazza», mentre dagli altri sono partite perlopiù feroci critiche. Uno di coloro che ha votato contro la mobilitazione ha spiegato di condividere i valori della protesta, ma di non volersi spendere «per chi non mi considera che un numero, e qui mi riallaccio all'Usigrai che considera i giornalisti dell'approfondimento poco e noi non contrattualizzati come giornalisti ancora meno». Alcuni dei programmi più importanti, infatti, vanno in onda grazie al lavoro dei precari eppure l'Usigrai, nel comunicato che ha diramato li ha a mala pena citati.
«Non so se ci siamo resi conto che stiamo scomparendo», scrive una collaboratrice. E ancora: «Mai sentiti quelli di Usigrai, solo i colleghi del cdr Approfondimento». «Non so se avete capito che non siamo la priorità di questa protesta», ribadisce un altro indignato. Se lo sciopero di ieri è stato un flop, insomma, è soprattutto merito dei precari che si sono sentiti dimenticati dall'Usigrai, il principale sindacato Rai e che ora guardano con interesse all'Unirai. Ieri, infatti, sono andati regolarmente in onda tutti i programmi di Approfondimento e Day Time, da Unomattina ad Agorà così come varie edizioni dei telegiornali nazionali e locali. «Io non sciopero perché non ho un contratto giornalistico quindi non è uno sciopero della mia categoria e poi perché Usigrai non ha mai dimostrato alcun reale interesse a risolvere la situazione di noi aspiranti fase 2 del giusto contratto», spiega un giornalista che figura ancora come «programmista». «Non vado a fare uno sciopero per una maggior retribuzione dei miei capi, dovrebbero loro scioperare prima per noi che siamo esclusi. Sono miserevoli e non mi avranno mai», dice un suo collega che imputa al centrosinistra la responsabilità della situazione attuale: «Sono loro i geni del male che hanno fatto la riforma dei generi». Ma non solo. Non è piaciuta nemmeno la politicizzazione dello sciopero. «Sulla questione antifascismo la penso come Guia Soncini», ci dicono. «Non ce la posso fare con una sinistra per cui le questioni di soldi sono «offensive», ma questo è un problema mio», ha scritto lo scorso 22 aprile la scrittrice che collabora per Linkiesta secondo «il problema di logica» è un altro.
«Prerequisito per l'antifascismo è dunque lodare la generosità di Scurati per non essersi fatto pagare dalla Rai un testo che nel frattempo aveva lasciato pubblicare gratuitamente ai cani, ai porci, alle Vongola Partigiana75?», si chiese la Soncini sottolineando come, nonostante le polemiche la puntata della Bortone si sia fermata al 5%. In sintesi, i precari non sono più disposti ad abbracciare cause tipiche dell'antifascismo militante portate avanti da un sindacato che non li difende.
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