Erano crediti fasulli, gigantesche truffe allo Stato grazie al sistema dell'Ecobonus, passate di mano in mano tra i membri di una associazione a delinquere: una delle tante che in questi anni hanno sfruttato per arricchirsi i vari bonus del governo Conte. Alla fine a chi arrivano in mano i crediti sporchi? Alle Poste Italiane. Che li comprano quasi al 100% del valore, una percentuale incredibile.
È uno dei dettagli che emerge dalle carte dell'inchiesta sulla banda sgominata l'anno scorso dalla Guardia di finanza di Rimini. Una truffa da 440 milioni, realizzata passando da una società fasulla all'altra i crediti alla base del bonus. L'inventore del sistema è un commercialista, Stefano Francioni: che, scrive il giudice, «non può affermare di essere all'oscuro dell'origine illecita dei crediti, posto che li ha pagati solo al 40% del valore nominale e in molti casi li ha immediatamente ceduti a Poste Italiane per il 98% del valore nominale».
Perché Poste si mette in affari con personaggi simili? A chiedere, anzi pretendere, che l'azienda pubblica compri crediti di seconda mano - e quindi di provenienza oscura - sono con una interpellanza i deputati del Movimento 5 Stelle, Emiliano Fenu e Giovanni Currò. Ottengono vittoria. E per i truffatori riparte il business.
É illuminante, la lettura dell'ordinanza del tribunale di Rimini che ha incriminato 81 persone per associazione a delinquere, truffa allo Stato e autoriciclaggio. Non c'è solo il curioso ruolo di Poste Italiane. C'è anche la descrizione dettagliata della facilità con cui la banda ha potuto approfittarsi delle falle contenute in tutti i decreti sugli aiuti di Stato varati in questi anni: dal bonus facciate, al bonus locazioni, fino al bonus sisma. Non c'è ancora, nell'inchiesta, un capitolo sul superbonus 110, quello stoppato ora dal governo Meloni. Ma anche lì di truffe ce ne sono state. Perché, come dice il 19 luglio 2021 uno dei sodali, tale Matteo Bonfrate: «Cioè lo Stato italiano è pazzesco, è una cosa... vogliono essere inculati, praticamente».
Ora una parte del processo è approdata a Milano, assegnata al pm Monia Di Marco, due capi della banda sono riparati in Sudamerica ma sono stati catturati e estradati. Una parte degli indagati ha già scelto di rito abbreviato per limitare i danni, davanti a intercettazioni inequivocabili: sia sulla facilità della truffa, sia sulla quantità di soldi accumulabili inventando spese inesistenti. Come dice il commercialista Franzoni: «Su 'sti crediti non ne capisce un c* nessuno e faccio un po' come mi pare, ho comprato e venduto crediti fiscali, ho 400mila euro sui conti correnti che non so cosa farmene». «Cominciamo già a maciullare soldi», festeggia Bonfrate.
Nell'indagine del Nucleo di polizia economica e finanziaria delle «fiamme gialle» riminesi, coordinate dal pm Paolo Gengarelli, sono state analizzate in dettaglio le falle in cui si sono incuneati i cervelli dell'organizzazione.
Le più clamorose sono apparse subito nel decreto sul bonus locazioni, che doveva aiutare gli imprenditori a pagare l'affitto durante il lockdown: nel sistema dell'Agenzia delle entrate si potevano indicare senza controlli importi a piacimento, e che nell'inchiesta di Rimini sono arrivati a 42 milioni all'anno, generando crediti astronomici ceduti poi di mano in mano fino ad arrivare a Poste Italiane. Nel frattempo, gli uomini della banda festeggiavano: «Il coronavirus ha portato bene. Ho approfittato, ti dico la verità. Sono diventato uno squalo».
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