Tra i ribelli che incendiano il Myanmar: "Cacciamo la giunta e prendiamo il potere"

La guerra civile nel Paese a una svolta. I gruppi armati vogliono ribaltare il regime dopo il colpo di stato di 3 anni fa

Tra i ribelli che incendiano il Myanmar: "Cacciamo la giunta e prendiamo il potere"
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Gli uomini si preparano. Vecchi fucili d'assalto AK-47, con il loro legno usurato dal tempo, sono affiancati ai più recenti M16, lucidi e moderni. Entrambi vengono puliti con cura, mentre i caricatori si riempiono di proiettili che riflettono le prime luci del giorno. I mortai sono stati disposti in diverse zone strategiche e i cecchini hanno preso posizione, mimetizzandosi tra la fitta vegetazione. Tutti stanno aspettando il comando per far partire l'attacco contro il nemico.

Ci troviamo nello Stato Karen, nell'est del Myanmar, dove i «guerriglieri della giungla» stanno sferrando un assalto contro l'avamposto militare birmano di Teekpler, situato nel distretto di Dooplaya, a pochi chilometri dal confine thailandese. Questa offensiva è solo una delle numerose azioni intraprese dagli storici eserciti etnici - che combattono da oltre settant'anni per una maggiore autonomia - e dai giovani meno addestrati, ma determinati del People's Defence Force (Pdf), il braccio armato del National Unity Government (Nug), il governo ombra che si è formato in risposta al golpe militare del primo febbraio 2021 con l'obiettivo di deporre la giunta e instaurare uno Stato federale.

Il momento è arrivato. «Ci siamo, iniziamo l'operazione. Per la nostra libertà, fino alla vittoria», ordina alla radio Nerdah Mya, numero uno del Kawthoolei Army (Ktla), il gruppo armato che sta coordinando l'attacco. Subito dopo una potente esplosione rompe il silenzio mattutino, segnando l'inizio di una lunga e feroce battaglia.

Questa guerra, poco raccontata ma non per questo meno devastante e drammatica, si è infuocata nel febbraio di tre anni fa, quando il generale Min Aung Hlaing, capo delle forze armate del Myanmar, ha preso il potere nelle prime ore di quello che sarebbe dovuto essere il giorno d'inaugurazione del nuovo Parlamento guidato dalla National League for Democracy (Nld) di Aung San Suu Kyi - premio Nobel per la pace nel 1991 - e catapultando così il Paese in un sanguinoso conflitto. Fino ad ora, secondo i dati rilasciati da diverse organizzazioni non governative, ci sono stati oltre 50mila morti. A questi vanno aggiunti 2,6 milioni di sfollati - in un Paese di circa 55 milioni di abitanti - che vivono in estrema precarietà nei campi allestiti lungo il confine e oltre 26mila persone arrestate per essersi opposte ai generali al potere.

«Questa base è la più importante della zona. Non sarà facile conquistarla, ma siamo qui per vincere e siamo pronti a tutto», dice il generale del Ktla mentre intorno risuonano intensi scambi di fuoco, tra raffiche di proiettili e esplosioni di mortai birmani da 120 millimetri. «Vengono supportati dall'avamposto militare nella città di Waley con l'artiglieria pesante e dall'aviazione. Presto sentiremo arrivare i jet e dobbiamo essere pronti a metterci al riparo», aggiunge.

Passano pochi minuti e una voce urla «airplane, airplane!». A gridare è Lekò, un fedele di Nerdah Mya, mentre si getta a terra, pregando di non essere centrato. Il MiG29 birmano passa sopra le teste per due volte, rilasciando bombe da 500 Kg. Stavolta senza fare vittime. Qualche giorno prima un attacco aereo ha ucciso cinque persone in un villaggio vicino e colpito diverse abitazioni e una chiesa cristiana. Dopo il golpe, i militari hanno distrutto quasi 200 edifici religiosi in tutto il Paese, non solo per il loro valore simbolico, ma anche per colpire i civili che cercano rifugio in questi luoghi durante i combattimenti.

L'attacco alla base di Teekpler fa parte di una serie di offensive che si stanno verificando contemporaneamente in varie parti dello Stato Karen e in tutto il Myanmar, causando perdite significative alle forze armate del Myanmar in termini di

personale, armi, attrezzature, basi e supporto. Proprio per questo, Nerdah Mya è convinto: «Presto cacceremo via la giunta e riprenderemo il completo possesso dei nostri territori, quello per cui stiamo lottando da decenni».

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