"I rimpatri saranno più lunghi e difficili. I Paesi di origine non vogliono riprenderli"

Il giurista Alessandro Costa: "Pietra tombale? No, vediamo la decisione"

"I rimpatri saranno più lunghi e difficili. I Paesi di origine non vogliono riprenderli"
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Alessandro Costa ha insegnato diritto internazionale per 40 anni nelle università di Roma II e Parthenope di Napoli e ha lavorato nella cooperazione allo sviluppo in molti paesi del Mediterraneo, Medio Oriente, Africa e Balcani.

L'ultima decisione del tribunale di Roma sospende il trasferimento in Albania di alcuni migranti in attesa della decisione della Corte Ue, vuol dire che la politica del governo la dettano i giudici?

«Vuol dire che viene sospeso il provvedimento di rimpatrio accelerato e i migranti devono rientrare. Se da Lussemburgo arriverà un no si applicherà la procedura di rimpatrio normale, molto più lunga e difficile».

Il decreto legge varato per impedire che i giudici bloccassero i trasferimenti, con una lista dei Paesi sicuri non è servito a nulla?

«La disciplina dei respingimenti è prescritta a livello Ue, da una direttiva e una sentenza della Corte Europea. I Paesi sicuri lo devono essere in tutto il territorio e per tutte le categorie di cittadini. Il giudice italiano è obbligato a rispettare la primazia del diritto europeo, come ha affermato nel 78 la Corte europea nella sentenza Simmenthal, confermata nell''84 dalla sentenza Granital della nostra Corte costituzionale. Se il giudice ha dubbi può fare alla Corte Ue una richiesta di pronuncia pregiudiziale».

Quindi il giudice o disapplica il diritto interno o chiede alla Corte Ue di pronunziarsi, ma in ogni caso ci sarà uno stop.

«La richiesta a Lussemburgo non sospende necessariamente l'applicazione della legge, ma in questo caso riguarda diritti fondamentali e non si può aspettare. Quando invece il giudice respinge il provvedimento si tratta di prima istanza e noi abbiamo 3 gradi di giudizio. Intanto, però, non si può procedere».

Il 4 dicembre la Cassazione si pronuncerà sulla discrezionalità del giudice.

«In questo caso non c'è discrezionalità, il diritto europeo prevale sempre».

Il modello Albania è innovativo anche per la presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen.

«Vero, ma quando i giudici hanno incominciato a pronunciarsi contro non è più intervenuta».

Il problema è che i rimpatri sono quasi impossibili, come si può agire?

«La questione è centrale per tutti i Paesi europei e nel 2025 l'Ue ha annunciato una nuova procedura più veloce. I paesi di origine fanno di tutto per non riprendersi migranti che comunque rappresenterebbero un problema».

La Gran Bretagna aveva pensato al Rwanda per i migranti, poi tutto si è fermato.

«Si sono opposte le associazioni per i diritti umani. In Europa in un caso la Germania ha rimpatriato addirittura in Afghanistan, ma se un Paese viola il diritto comunitario non giustifica gli altri».

In Australia gli immigrati li tengono nelle isole.

«In Papua e nuova Guinea, ma non ci sono obblighi europei. E non so se il nuovo governo ratificherà questa soluzione».

I giudici italiani mettono una pietra tombale sull' Albania?

«No, dobbiamo

vedere la decisione della Corte Ue. Questi interventi ritardano l'uso giuridicamente corretto del sistema Albania, preservando l'appartenenza dell'Italia all'Ue, ma se facciamo parte del club, dobbiamo rispettarne le regole».

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