I veleni del caso Ruberti: quei ricatti firmati Pd

Tutti i sospetti di una "manina" dem sul video che ha inguaiato il braccio destro di Gualtieri

I veleni del caso Ruberti: quei ricatti firmati Pd

«Il problema è che la situazione è degenerata a un livello talmente basso che si arriva senza motivi e senza ragione a fare quello che successo l'altra sera». Probabilmente bisogna partire da questa frase per capire l'intreccio di affari, cordate, rancori che sta trasformando in un incubo la campagna elettorale del Partito democratico. Dopo anni spesi a sventolare la «questione morale», il Pd si ritrova - a meno di un mese dal voto per le Camere - ad essere protagonista dell'unico, inequivocabile esempio di degenerazione etica. Al centro di tutto c'è il Gotha romano e laziale del partito. Ma anche Enrico Letta sa che quanto sta venendo a galla investe non solo una realtà locale ma l'intera anima di quanto resta della «gioiosa macchina da guerra». E che la degenerazione dei rapporti all'interno del Pd laziale non può che riversare i suoi effetti sull'intero corpo elettorale del partito.

L'autore di quella frase sulla «situazione degenerata» è uno, d'altronde, che i segreti piddini li conosce bene. È la chat, resa nota l'altro ieri dalla Verità, che il 2 giugno scorso si scambiano due protagonisti della cena a Frosinone diventata ormai celebre, quella in cui nella tavolata di alti notabili del partito scoppia il finimondo, e il portavoce del sindaco Gualtieri, il potente Albino Ruberti, minaccia di morte un commensale che gli aveva appena detto «me te compro». A scrivere il messaggio è un altro ras locale, l'ex eurodeputato Francesco De Angelis; destinataria è la donna di Ruberti, Sara Battisti, che dalla quasi-rissa di poche ore prima si era allontanata in lacrime. La Battisti è a sua volta protagonista di uno scontro frontale con un altro capataz locale, l'ex presidente del Consiglio regionale Mauro Buschini: uno scontro dove, come in tutti gli altri passaggi del quadro che sta prendendo forma, si cercherebbe invano l'ombra di una motivazione politica, ideologica, culturale. La faida continua è solo sul potere e sugli affari.

Solo così si spiega la «degenerazione» di cui parla De Angelis nel suo messaggino sui rapporti interni al Pd laziale. Se il concetto non fosse abbastanza chiaro, rimedia ieri la Battisti, che in una intervista al Corriere butta lì che la diffusione del video è opera di una «manina» interna al Pd. «Provo un dispiacere profondo all'idea che qualcuno possa avere costruito ad arte questa cosa. Qualcuno magari persino nel mio partito». Ancora: ricorda che l'ex sindaco di centrodestra, Nicola Ottaviani, dice che il video venne offerto anche a lui, e di averlo rifiutato. «Se penso che può essere stato qualcuno del mio partito qualche domanda me la faccio».

La domanda che, fuori da questa suburra, la gente normale può porsi è: che partito è quello dove i conti si regolano passando video compromettenti prima agli avversari politici e poi ai giornali? La risposta è sempre lì, in quella disarmante assenza di scontro politico e nel gorgo tracimante di potere, di candidature, di concorsi truccati, di appalti che si staglia dietro al «vi sparo, ti ammazzo, inginocchiati» di Ruberti. A chiudere il cerchio basta un'altra intervista, quella che ieri rilascia all'Adnkronos Isabella Mastrobuono, direttore generale dell'Asl di Frosinone che nel 2015 venne cacciata per fare spazio a Luigi Macchitella: che firmerà la proroga delle convenzioni assicurative della Asl di Frosinone con l'agenzia del fratello di De Angelis. «Oggi la lite violenta, le polizze sanitarie rinnovate senza una gara. Come faccio a stupirmi? Questo è solo il primo passo per scoperchiare il vaso di Pandora. Sono stata cacciata perché non ero manipolabile, piacevo tanto ai cittadini (raccolsero mille firme per farmi restare) ma per niente alla politica locale. Il fatto che mi abbiano mandato via nel silenzio più generale del Pd è una vergogna».

A decidere la sua «promozione» fu Nicola Zingaretti, presidente della Regione Lazio, che per toglierla da Frosinone la mandò allo Spallanzani di Roma. Ma subito dopo la cacciarono anche da lì: «Mi dissero che se non mi fossi dimessa mi avrebbero rovinata». Questo accadeva nel regno del Pd laziale.

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