Il karma di Verona non è quello di una città fascista. Anzi. «Le generalizzazioni sono la peggior forma di razzismo. Un principio che vale per tutti, anche per Paolo Berizzi». Don Bruno Fasani, prefetto della storica Biblioteca Capitolare, un gioiello della cultura italiana, e volto televisivo di Rai1, non ama la retorica. Ma va dritto al punto: «Queste critiche sono strumentali».
«Sono Vicino a Verona e ai veronesi» scrive in un tweet il giornalista di Repubblica. Ma le prime parole lasciano poi posto a un'invettiva durissima, quasi apocalittica: «I loro concittadini nazifascisti e razzisti che da anni fomentano odio contro i più deboli e augurano disgrazie a stranieri, negri, gay, ebrei, terroni riflettano sul significato del karma».
Un messaggio che provoca una valanga di reazioni sdegnate: il giornalista rimuove il contestatissimo tweet e lo sostituisce con un altro, molto più morbido, offrendo anche le sue scuse. Ma ormai la frittata è fatta.
Don Bruno, Berizzi ha studiato Verona. E la sua forte componente di destra, descritta nei libri e negli articoli.
«Conosco bene la mia città. È vero che ci sono frange estremiste, questo è un dato pacifico, ma non mi piace che si metta la giacchetta nera a una comunità intera. È un giochino che non funziona, non con me almeno».
Ma ci sono o non ci sono schegge xenofobe, fasciste, persino di matrice nazista?
«Sì ma sono minoranze. Nessuno si sogna di criminalizzare Bergamo per via degli ultrà dell'Atalanta e nessuno si permette di definire Roma una città fascista solo perché lo è la curva della tifoseria laziale».
E Verona che città è?
«Verona è moderata, in fondo non ha mai smarrito la sua anima democristiana. Ma attenzione: una Dc vicina alle istanze popolari».
Un po' poco per contrastare le immagini negative. Non le pare?
«Ma no. Tutti evocano quattro nazisti e si dimenticano di tutto il resto. Verona è una delle capitali del volontariato in Italia. C'è l'Opera don Calabria, ci sono i Comboniani, c'è la Diocesi con le sue molteplici iniziative e ci sono i francescani che quotidianamente garantiscono centinaia di pasti ai senzatetto. Non credo che un manipolo di fanatici possa sporcare la nostra identità».
Gli slogan e gli striscioni però non se li è inventati Berizzi.
«Sì, sono d'accordo, ma un gruppetto non racconta una città. Prendiamo gli extracomunitari: hanno trovato lavoro nel marmo e nell'agricoltura e si sono perfettamente integrati».
Anche con il susseguirsi di giunte di centrodestra?
«Anche Flavio Tosi, il leghista duro e puro, alla fine si è rivelato un moderato. Poi, se vogliamo demonizzare tutti quanti per assecondare il solito schemino del politically correct, allora non val la pena neanche discutere. Le ricordo un fatto».
Quale?
«Vent'anni fa, Verona fu sconvolta dalla vicenda del professor Luis Marsiglia. Lui sosteneva addirittura di essere stato picchiato perché ebreo. Tutte le tv accorsero e si montò un indecoroso caso nazionale. Ricordo le dirette di Santoro, forse per un mese intero, e gli inviati dei programmi più accreditati che sgomitavano per le vie del centro storico. Tutti a dipingere l'anima nera di una città irredimibile».
Poi?
«Poi un bel giorno l'esimio professore, con l'aureola del martire, ammise di essersi inventato tutto. Niente botte. Niente persecuzione. Niente di niente. Però la leggenda nera della città delle SS e dei bombaroli piace, è suggestiva, fa presa.
E ogni occasione è buona per ritirarla fuori. Va bene perfino una grandinata che invece dovrebbe favorire un clima di unità e solidarietà. Pare impossibile e, invece, ecco il razzismo degli antirazzisti che con due pennellate colpevolizzano una città intera».
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