
Il fantasma di Gezi Park torna a fare capolino in Turchia, tra arresti politici, scontri manifestanti-polizia e preoccupazione per una situazione che vede conseguenze anche di natura economica. Da un lato il governo turco dice di voler contribuire come peacekeeping su Russia e Ucraina, ma dall'altro toglie la laurea al sindaco di Istanbul, arrestato due giorni fa, così da impedirgli di candidarsi alle elezioni presidenziali che, verosimilmente, si celebreranno prima del 2028. Uno scenario kafkiano sta andando in scena sul Bosforo, dove c'è un gigantesco scollamento tra realtà e narrazione del potere da parte di un paese che ha il secondo esercito più grosso della Nato e, contemporaneamente, registra il più alto tasso di adesioni a manifestazioni antigovernative sul proprio territorio.
Anche ieri, sin dalla mattinata, si sono motiplicate in molte zone della città le proteste da parte degli studenti di varie università di Istanbul, dopo che un ateneo martedì ha stracciato la laurea di Ekrem Imamoglu, impedendogli così, secondo quanto prevede la Costituzione turca, di candidarsi contro Erdogan. Poliziotti in assetto da guerra hanno sbarrato le strade su due luoghi chiave della storia recente di Istanbul, come Piazza Taksim e Gezi Park, già teatro di massacri e repressioni inaudite, mentre il governatore della città ha emesso un divieto di accesso a queste aree. Scontri, arresti e violenza ancora a farla da protagonista: dal municipio era partita una marcia di protesta, organizzata da movimenti studenteschi, diretta verso piazza Taksim ma la polizia ha disperso i manifestanti, arrestandoli. Tutto come previsto nella città che ha visto Santa Sofia tramutarsi cinque anni fa da basilica-museo in moschea, nel silenzio dell'occidente. Ma a dare coraggio ai manifestanti ecco la voce dell'arrestato, il potenziale rivale di Erdogan accusato di corruzione e tangenti, gli stessi reati per i quali dieci anni fa venne decapitato mezzo governo erdoganiano, dando vita alle proteste di Gezi Park che puntavano il dito contro la famiglia del presidente e la sua corte. Tramite i suoi legali Imamoglou, che ha definito il suo arresto «un golpe», ha lanciato un appello al «potere giudiziario», affinché «reagisca» e «non resti in silenzio» rispetto alla sua incarcerazione. «Mi rivolgo alle decine di migliaia di procuratori e giudici onorevoli e dotati di morale. Dovreste far sentire la vostra voce e agire contro quella manciata dei vostri colleghi che stanno rovinando il nostro sistema giudiziario e ci stanno umiliando sulla scena internazionale e distruggendo la nostra reputazione», si legge sul suo account X. Ovviamente ne ha anche per il presidente turco accusandolo, senza mai nominarlo direttamente, di «innumerevoli colpe di cui non può rendere conto, né nel suo Paese, né all'estero». Per poi chiosare che «le stesse persone che mi hanno rubato il diploma di laurea attaccheranno la vostra proprietà, il vostro onore, come nazione, dobbiamo restare uniti contro questo maschio».
Ozgur Ozel, presidente del Chp di cui fa parte Imamoglu, ha detto che Erdogan intedeva «togliere dai giochi» Imamoglou e tagliare i legami del suo partito con la città, aggiungendo che qualsiasi decisione che impedisca a Imamoglu di candidarsi alla presidenza rafforzerà solo l'opposizione. Per questa ragione domenica prossima lo incoronerà suo candidato.
Durante la giornata l'accesso a X e WhatsApp è stato fortemente limitato, come riferito dalla piattaforma internet turca Free Web Turkey. In precedenza 37 persone erano state arrestate per aver rilancato contenuti «provocatori» sui social dopo l'arresto del sindaco di Istanbul.
Secondo il ministro degli Interni Ali Yerlikaya, le autorità turche contro la criminalità informatica hanno individuato e bloccato 261 account che condividevano post provocatori che incitavano all'odio pubblico. Peccato che nel recente passato non ci sia stata la stessa mobilitazione contro la radicalizzazione legata al fondamentaliso islamico che invece aveva trovato ampie praterie sul Bosforo.
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