Inchiesta sui fondi russi: è Meranda la gola profonda

Metropol, i pm svelano la fonte dell'audio rubato per salvare l'indagine dallo stop in Cassazione

(Facebook di Gianluca Meranda)
(Facebook di Gianluca Meranda)

Adesso ha un nome l'autore della registrazione che ha dato il via all'inchiesta sui presunti fondi russi alla Lega. E il disvelamento della identità finora sconosciuta finisce con l'aprire nuovi e più rilevanti interrogativi. Perché salta fuori che a intercettare tutto di nascosto dagli altri commensali dell'Hotel Metropol sarebbe stato il più misterioso dei tre italiani presenti all'incontro: Gianluca Meranda, avvocato d'affari, già massone, poi espulso dalla Serenissima Gran Loggia d'Italia, che a suo dire a Mosca rappresentava gli interessi di una non meglio identificata «banca d'affari anglo-tedesca». E quindi diventa inevitabile chiedersi non solo cosa ci facesse l'ex massone a Mosca con Gianluca Savoini, l'ambasciatore di Matteo Salvini in terra di Russia, ma anche perché abbia registrato l'incontro, e soprattutto come e perché dalle sue mani il file sia approdato prima nelle mani di almeno un paio di giornalisti. Interrogativi davanti ai quali ogni dietrologia è possibile.

Il nome di Meranda salta fuori ieri, e non per caso. Sulla squadretta di pm milanesi che indaga per corruzione internazionale in relazione all'incontro del Metropol e alla megafornitura di prodotti petroliferi discussa in quell'occasione si era abbattuta poco prima una rogna consistente.

La Cassazione, chiamata a esaminare il ricorso di Savoini contro il sequestro dei suoi telefoni e del computer, aveva respinto il ricorso, confermando l'esistenza del fumus della corruzione ma mettendo in chiaro un principio: per poter essere utilizzata in un processo, la registrazione dell'incontro deve avere una paternità, non può essere una intercettazione illecita. E gli unici a poter registrare lecitamente l'incontro erano (anche all'insaputa l'uno dell'altro) i sei presenti: da parte italiana Savoini, Meranda, l'ex bancario Francesco Vannucci; da parte russa Ilya Yakunin, Andrey Kharchenko e un terzo signore non identificato. Dare un nome all'autore per la Procura era dunque indispensabile per impedire che l'inchiesta - che ha come vero obiettivo l'ipotesi di finanziamenti in nero alla Lega - perdesse un pezzo importante. Ed ecco che il nome salta fuori, rivelato ieri anche se con qualche cautela dall'agenzia Ansa. A registrare tutto sarebbe stato Meranda.

L'inchiesta è salva, ma Meranda si ritrova indicato bruscamente come gola profonda dell'indagine.

Perché (a meno che il file non gli sia stato rubato) è stato lui a farlo avere al giornalista dell'Espresso Stefano Vergini, che - come ricostruisce la sentenza della Cassazione - ne ascolta alcuni passaggi per confezionare l'articolo e poi lo consegna ai pm; e copia del file arriva anche al sito americano Buzzfeed che per primo lo mette in rete. Di fatto, è Meranda ad innescare tutto il meccanismo che oggi porta la Procura milanese a dare la caccia ai fondi occulti della Lega. E sarebbe interessante capire se abbia fatto tutto di testa sua.

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