Per quanto riguarda la caduta del fascismo, gli intellettuali antifascisti sono stati quasi del tutto ininfluenti. La maggior parte si acquattò negli anfratti del Regime, attendendo in silenzio la fine del fascismo per poter meglio raccogliere il potere culturale. Tra questi c'era anche Eugenio Scalfari, antifascista al caffè con gli amici, in camicia nera sui giornali dell'epoca, Roma Fascista, e con maggior coerenza e fedeltà alla battaglia spirituale del Duce, Gioventù italica e Conquiste d'Impero.
Scalfari si riteneva l'erede di Mario Pannunzio e della storia, parallela in molti momenti a quella del Partito liberale e radicale, di giornali come Risorgimento liberale e il Mondo. Peccato che Mario Pannunzio, nel 1968, prima di morire, diede disposizioni per il suo funerale tra cui spiccava quella di vietare la presenza di Scalfari. In un carteggio con Leo Vallani. Pannunzio dedicò a Eugenio queste parole:«È instabile, femmineo, esuberante. Non ha veri legami né affinità ideali e morali con nessuno. Tutto è strumentale, utilitario; tutto deve servire alla sua splendida carriera. Ha fretta, vuole arrivare. Dove? Forse non lo sa nemmeno». Anche l'amico Italo Calvino, compagno di liceo, accusò Scalfari di opportunismo. Erano ancora giovani. Forse il giudizio era ingiusto ma Scalfari sapeva certamente come muoversi con il potere e prima sposò il moralismo di Berlinguer e poi si accodò alla corrente democristiana di Ciriaco De Mita.
Categorico nelle questioni giudiziarie altrui, Scalfari non esitò a farsi eleggere, nel 1968, nelle liste del Psi al fine di farsi scudo con l'immunità parlamentare di una condanna a 15 mesi di carcere (in seguito al falso scoop sul presunto colpo di Stato noto come piano Solo). Poco incline a perdonare gli errori altrui, Scalfari sarà stato altrettanto spietato con se stesso? Chissà come giudicava l'aver firmato nel 1971, assieme al gregge degli intellettuali, la lettera aperta a L'Espresso sul caso Pinelli, un manifesto che contribuì a isolare il commissario Luigi Calabresi, poi ucciso da un commando di Lotta continua. Con Repubblica, Scalfari fece un miracolo editoriale, che nessuno potrebbe mai negare. Come commentatore, i maligni sottolineano i voltafaccia e gli errori di valutazione. Ad esempio, in campo economico, nel 1959, predisse sull'Espresso il sorpasso dei soviet: «Nel 1972 l'Urss sarà addirittura passata in testa non soltanto come potenza industriale ma anche come livello di vita medio della sua popolazione». Alla fine, quando il mondo cambiò, fu proprio Eugenio Scalfari a diventare il faro della nuova sinistra italiana che aveva abbandonato il marxismo senza rinunciare alla propria autoproclamata superiorità morale. Repubblica dettava la linea. Indicava quali scarpe, libri, viaggi, idee fossero degni di una sinistra illuminata. Negli anni Novanta, Scalfari schierò il giornale contro Silvio Berlusconi e Forza Italia. Nel 1994 firmò questa profezia: «Forza Italia è un partito di plastica che si scioglierà in pochi mesi». Quella contro Berlusconi fu una lotta affidata soprattutto a colpi bassi. Le idee non venivano proprio prese in considerazione. Fu un esame ai raggi x della vita privata di Berlusconi. Paradosso: non molti anni dopo, Scalfari dirà di fidarsi di Berlusconi più di Matteo Renzi. Altro paradosso: Berlusconi fu accusato di tutto, eppure Scalfari, e un'altra tonnellata di scrittori anti Biscione, hanno pubblicato e pubblicano felicemente per i marchi editoriali del leader di Forza Italia. Ed ecco Scalfari spuntare nel catalogo Einaudi con poesie e saggi, fino all'ingresso trionfale nella collana dei Meridiani Mondadori, di solito riservata ai classici. Tra i tomi di Proust e Svevo, c'è lui, il Fondatore, Eugenio Scalfari. Persino Papa Francesco ha baciato la pantofola di Eugenio al quale ha rilasciato interviste regolarmente smentite ma anche regolarmente ripubblicate tali e quali dai canali web del Vaticano.
Pochi uomini sono stati adulati come Eugenio Scalfari, che aveva il potere di lanciare e stroncare carriere intellettuali. Secondo i recensori delle sue opere, il «filosofo» Scalfari «reinventa la forma dello Zibaldone» di Giacomo Leopardi e ricorda Rilke, Montaigne, Rousseau, Keats, Shakespeare, Sterne. Scalfari fu accostato anche a Nietzsche, Croce, Cartesio, Socrate, Eraclito, Parmenide, Proust, Holderlin, Arendt, Valéry, Eckhart e Pascal. Tra i giudizi memorabili, ricordiamo almeno quelli del critico letterario Alberto Asor Rosa e del teologo Vito Mancuso, solo per caso all'epoca entrambi collaboratori di Repubblica.
Alberto Asor Rosa: «Le cime della modernità sono scalate dal nostro autore con straordinaria agilità e incredibile capacità comunicativa, che però non diviene mai volgarizzazione». Vito Mancuso: «Cartesio, Spinoza, Kant, Freud ... sono i filosofi che banno contribuito a formare Scalfari, che poi li ha per così dire superati». Avete letto bene: su-pe-ra-ti.
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