Insegnare la Patria è rivoluzione

Cambia l'educazione civica

Insegnare la Patria è rivoluzione
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In tanto parlare, o chiacchierare di cittadinanze da smerciare a buon mercato e allegate, nemmeno fossero un due per uno da discount, a un titolo di studio (oggi piuttosto svalutato), parte l'anno scolastico. Con qualche novità, tra cui il divieto di usare gli smartphone in classe e la nuova educazione civica «con al centro il concetto di Patria». Ora, dopo un primo moto di gratitudine al ministro Valditara (nella foto), subentra lo sgomento nel rendersi conto di quanto in questo mondo così degradato, sia necessario essere rivoluzionari per affermare l'ovvio. Passando oltre l'uso del telefonino per il cui divieto dovrebbero bastare le più semplici norme della buona educazione, colpisce la necessità di dover raccomandare a professori e dirigenti scolastici l'insegnamento del concetto di Patria. Ma su cosa mai si dovrebbe basare l'educazione civica (e la scuola) se non sul fondamento della civile convivenza di un popolo? Magari da insegnare, prima di sottoporlo agli stranieri in cambio di una carta d'identità, ai nostri ragazzi piuttosto impreparati sull'argomento. Eppure ci sarà chi, nel corpaccione docente, si opporrà definendola nozione sovranista e fascista. Imprecando contro il governo Meloni. Ed in effetti insegnare che la Patria è «il territorio abitato da un popolo e al quale ciascuno dei suoi componenti sente di appartenere per nascita, lingua, cultura, storia e tradizioni», poggi è più un gesto da eroe del Risorgimento che da italico docente.

Non parlando del fatto che «La difesa della Patria è sacro dovere del cittadino», art 52 della Costituzione. Dovere? Cittadino? Forse, ministro Valditara, quelle oltre 10 milioni di ore previste per la materia, potrebbero non bastare. E qualcuna andrebbe fatta pure agli insegnanti.

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