«Io l'ho dovuto fare, obbligato dalla crisi»

«Chi va fuori lo fa perché è costretto. Non serve nemmeno spostare la residenza: basta andare in un'agenzia interinale polacca o romena che ti assume, ti rilascia un tesserino e a quel punto avrai il contratto lavoro di quel Paese». Giovanni Ciaccio ha 39 anni, fa il camionista dal 1998. Oggi è un funzionario di Uiltrasporti in Liguria, ma nel 2010, per un breve periodo, è stato uno dei «costretti».

«L'azienda per cui lavoravo fallì, cercavo lavoro e una grossa società italiana mi disse che mi avrebbe assunto. Però dovevo iscrivermi in questa agenzia interinale in Romania. La mia non fu una scelta».

C'è la crisi, il mutuo da pagare, il progetto di un figlio. Si accetta il poco perché è meglio di niente. L'esperienza di Giovanni è stata breve, poi l'impegno sindacale ha preso il sopravvento. Ma dopo averla vissuta ne ha fatto una battaglia, per i tanti suoi colleghi per cui quel prendere o lasciare è l'unica opzione. Sempre più spesso, perché «se fino al 2010 le aziende ancora cercavano di barcamenarsi, ora il fenomeno sta dilagando».

Nella sola Genova, dove dal porto partono circa 1.700 camion per mezza Europa ogni giorno, la Uil calcola che su 10mila addetti 1.500 potranno trovarsi presto con contratti di somministrazione stipulati all'estero.

Molti, spiega, «neanche sono consapevoli di tutto quello che ciò comporta a livello di contributi pensionistici e sanitari». Che sono non solo più bassi, ma è persino difficile verificarne la regolarità, «perché compete al Paese distaccante, non all'Italia».

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