Accoltellati a morte nella loro villa a ovest di Teheran. È la fine cruenta del famoso regista iraniano, Dariush Mehrjui, 84 anni, e sua moglie, la scrittrice Vahideh Mohammadifar. La coppia è stata trovata senza vita dalla figlia che stava provando a contattarli. È stata lei a chiamare subito la polizia. Sui social media circola voce che fossero decapitati, ma non ci sono conferme ufficiali. Il capo della polizia di Alborz, Hamid Hadavand, ha chiarito che l'omicidio è avvenuto per mano di persone non identificate, con ferite da coltello al collo e in altre parti del corpo. Prima dell'incidente, Mohammadifar, aveva scritto sui social che la coppia era stata minacciata con questa arma da un individuo non iraniano, forse un afghano.
Dariush Mehrjui, nato nel 1939 a Teheran, è considerato tra i fondatori della cosiddetta «nouvelle vague» degli anni settanta del cinema iraniano. Il suo film più celebre è Gaav, La mucca, del 1969, che parla dell'attaccamento quasi mitico dell'abitante di un villaggio rurale a questo animale. Nato da una famiglia di classe media e religiosa Mehrjui si è trasferito alla fine degli anni cinquanta a Los Angeles per studiare cinema ed è diventato allievo anche di Jean Renoir. Negli anni sessanta, di ritorno nel Paese natio, ha lavorato come giornalista, sceneggiatore e insegnante al Centro di studi di lingua straniera di Teheran. L'impatto più forte su di lui quando era bambino, ha raccontato in un'intervista, lo ha avuto Ladri di biciclette di Vittorio De Sica. È diventato poi noto al grande pubblico proprio grazie a La mucca con cui ha vinto il premio Fipresci alla Mostra di Venezia del 1971. La pellicola è ispirata a un racconto dello scrittore iraniano Gholam-Hossein Saedi, che è stato anche sceneggiatore del lungometraggio. Al film è particolarmente legato pure Asghar Farhadi, che lo ha inserito nel programma del festival Middle East Now.
Nella lunga carriera ha diretto, in totale, circa 25 film. La Repubblica islamica, però, ne ha vietato alcuni come Laminor del 2019, diffuso poi con parti censurate. Sua pellicola famosa anche Santouri, che racconta la vita di un tossicodipendente.
In persiano «suonare il santour» è anche un modo per dire iniettarsi l'eroina nelle vene. Percuotersi il braccio per far gonfiare l'arteria, in preparazione all'iniezione, ricorda il suonare questo strumento. Il film è stato proiettato solo una volta in Iran.
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