Una delle ragazze avvelenate a Qom, la città simbolo dello sciismo radicale, non ce l'ha fatta. Si chiamava Fatemeh Rezaei, aveva undici anni. Il suo nome appare in centinaia di hashtag su Twitter e sembra che la sua famiglia sia stata minacciata di non divulgare la notizia, rilanciata però dagli amici della piccola. Lo scorso novembre 18 allieve avevano denunciato di sentire strani odori nelle scuole. Poi avevano cominciato ad avvertire sintomi di nausea, mal di testa, tosse, dolori e intorpidimento agli arti. Da più parti si è parlato di attacchi chimici contro le studentesse iraniane. Ora le autorità sanitarie dicono di non aver riscontrato batteri o virus nel sangue delle bambine. Mentre secondo il ministero della Sanità gli attacchi sono stati organizzati da qualcuno deciso a chiudere le scuole per le ragazze. Come accade già nel vicino Afghanistan. Ma da allora questo incidente è successo diverse volte anche in altre città, come a Borujerd, altro centro a sudovest di Qom, verso il confine con l'Iraq. Ciò ha innescato rabbia e sgomento nella popolazione che teme una vendetta del regime sulle sue studentesse. Gli avvelenamenti sono ritenuti da molti una ritorsione alla ribellione di alcune di queste giovani verso l'hijab obbligatorio e verso la guida suprema Ali Khamenei dopo la morte di Mahsa Amini. Un modo anche per scoraggiare le ragazze dall'andare a scuola e all'università e formarsi una coscienza critica.
Intanto non si fermano le proteste contro il regime in Iran e continua la repressione. Un altro manifestante baluci è morto mentre si trovava sotto la custodia della polizia del 12 distretto di Zahedan. La Ong iraniana Iran Human Rights, con sede a Oslo, vuole vederci chiaro e ha chiesto alle Nazioni Unite di indagare su questo caso «e sugli altri crimini commessi» dalle forze dell'ordine contro i manifestanti. Quest'ultimo si chiamava Ebrahim Rigi, aveva 24 anni, ed era stato arrestato una prima volta il 13 ottobre durante il cosiddetto «bloody friday» per aver soccorso i feriti durante la violenta repressione di Zahedan. Era stato rilasciato su cauzione lo scorso 1° gennaio, dopo il ritiro della richiesta di pena di morte. Ma il 22 febbraio è stato nuovamente arrestato, «arbitrariamente» secondo l'Ong, e portato alla stazione di polizia. Qui avrebbe subito un pestaggio a morte, anche se secondo le autorità, Rigi è deceduto «senza la presenza della polizia». Un attivista amico di Rigi ha però dichiarato che il suo «corpo è stato consegnato alla famiglia con evidenti segni di tortura».
Oltre che per la dura repressione della protesta, Teheran è nel mirino della comunità internazionale anche per il suo programma nucleare e per la presunta vendita di droni Shahed a Mosca. Secondo la Cia il programma atomico iraniano sta avanzando a un «ritmo preoccupante».
Mentre il Wall Street Journal fa sapere che il capo dell'Aiea Rafael Grossi sarà presto a Teheran. Ma il ministro degli Esteri iraniano Hossein Amir-Abdollahian ha commentato: «Alcuni Paesi occidentali sollevano soltanto accuse senza presentare prove».
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