
nostro inviato a Tel Aviv
È uno scontro senza precedenti quello che si sta consumando nelle ultime ore in Israele, mentre la guerra a Gaza è ripartita da quattro giorni e 59 ostaggi sono ancora nelle mani di Hamas da 532 giorni. Su proposta del primo ministro Benyamin Netanyahu e con un voto all'unanimità, il governo licenzia il capo dello Shin Bet, l'intelligence interna. Non era mai accaduto prima. Nuove proteste esplodono davanti alla residenza privata del capo del governo a Gerusalemme. «La storia è fatta dalle persone» recita lo striscione esibito dai manifestanti, che esprimono sostegno a Ronen Bar, 59 anni, dei quali oltre trenta passati a occuparsi della sicurezza, dopo una laurea in Scienze politiche e filosofia all'Università di Tel Aviv e un master in pubblica amministrazione a Harvard. Alcuni partiti di opposizione e altre organizzazioni si rivolgono alla Corte Suprema, che congela il provvedimento in attesa di sentire le motivazioni dell'esecutivo. Ma Netanyahu non vuole sentire ragioni e nega che sia in corso uno scontro epocale. «L'esecutivo decide chi è il capo dello Shin Bet. Non ci sarà una guerra civile», taglia corto su X.
Netanyahu ha già spiegato nei giorni scorsi di aver perso fiducia in Bar dopo la strage del 7 ottobre 2023 e ha accusato il capo dell'intelligence di un approccio troppo soft nei negoziati con Hamas, oltre che di fughe di notizie. Ma Bar, che a differenza del primo ministro israeliano si è assunto la sua parte di responsabilità per la strage e chiede una commissione d'inchiesta statale sul massacro, come anche i parenti delle vittime, non ci sta a fare il capro espiatorio. In una lettera circolata mentre la scorsa notte si votava il suo siluramento, il direttore della sicurezza interna contrattacca, spiegando che le vere ragioni del premier sono «completamente diverse» da quelle annunciate. Parla «di un conflitto istituzionale e di interessi che non potrebbe essere più serio», facendo riferimento all'inchiesta intrapresa proprio dallo Shin Bet sul presunto coinvolgimento del Qatar nel processo decisionale israeliano. Si tratta del cosiddetto «Qatargate», lo scandalo in cui si indaga su due membri dello staff del primo ministro, che avrebbero ricevuto pagamenti dal Paese sostenitore di Hamas. Yonatan Urich ed Eli Feldstein hanno anche svolto per il Paese arabo un lavoro di pubbliche relazioni per la Coppa del Mondo 2022.
Bar è convinto che la sua rimozione sia illegittima. L'8 aprile saranno esaminati i ricorsi, l'uscita è prevista entro il 10. Ma il 51% degli israeliani è contrario al licenziamento secondo Channel 12 (il 32% a favore) e il 46% crede più in lui che in Netanyahu, fermo al 32%. Il caso e la situazione a Gaza aumentano però il pessimismo: il 63% degli israeliani teme per la democrazia. Eppure «Bibi» non si ferma. Domani il governo discuterà anche la sfiducia al procuratore generale Gali Baharav-Miara.
È un momento tesissimo per il Paese, alle prese con la fine della tregua a Gaza, dove i morti sono oltre 590 (ucciso anche il capo dell'intelligence di Hamas), mentre gli ostaggi restano in mano agli islamisti.
Il ministro della Difesa Katz avverte: «Li liberino o annetteremo parti della Striscia». I terroristi dicono di aver dimostrato «flessibilità» e che Israele rifiuta i tentativi. Intanto l'Egitto smentisce di essersi offerto di accogliere mezzo milione di gazawi nel Sinai.
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