Gli Stati Uniti chiedono ai loro cittadini di lasciare subito, immediatamente il Libano. Uno dei tanti segnali, come la chiusura quasi completa dei viaggi aerei per e da Israele: l'attacco secondo tutti i segnali ci sarà, sarà duro, i correnti tentativi di ammorbidire le posizioni iraniane non fermano la imprescindibile necessità di calmare la rabbia, ristabilire la gerarchia, restituire l'onore a Khamenei e ai suoi. Il giornale del regime «Kayhan» parla di «obiettivi operativi della vendetta, che comprendono attacchi coordinati e diversificati usando missili di precisione e droni».
Israele si prepara, l'esercito e Netanyahu seguitano a rassicurare sulla loro preparazione «per ogni evenienza», anche se è chiaro che questa volta la minaccia equivale a una promessa di distruzione. Come si sta, cosa si fa mentre le minacce di morte diventano sempre più dirette, mentre all'Onu la delegazione dell'Iran annuncia che Hezbollah, il suo maggiore «proxy» armato di missili di ogni genere, «sceglierà obiettivi più vasti e più profondi, non limitandosi a mirare sui militari né a strutture solo militari»? Come si resta tranquilli quando questo significa che si intende mirare sui civili, sui centri abitati, disegnare uno scontro fatale e non accettare che le eliminazioni mirate di Fuad Shukr colpito a Beirut sia un risposta all'assassinio di 12 bambini israeliani sul campo di calcio di Madjel Shams? Né che l'uccisione di Ismail Haniyeh sia un atto di guerra contro un protagonista del 7 di ottobre?
La risoluzione annunciata sia dall'Iran sia da Nasrallah secondo la logica mediorentale è uno squillo di tromba, annuncia un punto di svolta fatale, un florilegio di discorsi che, mentre la Russia dietro tace, disegna la minaccia all'esistenza stessa di Israele. Ma, dopo aver comprato scatolette di tonno e bottiglie d'acqua e aver verificato la pulizia del rifugio, a Gerusalemme e a Tel Aviv nel caldo Shabbat si tengono i bambini in casa, e si guardano con strenua passione le Olimpiadi: le cinque medaglie fino a ora vinte sono diventate il sorriso di un Paese che vive e vince oltre le minacce da cui anche a Parigi è stato accolto e accompagnato. Il 24enne Tom Reuveny, che ieri ha vinto la medaglia d'oro nel windsurf, ha detto che avrebbe fatto qualsiasi cosa per sentire finalmente risuonare Hatikva a Parigi; il judoka Peter Paltchik che ha vinto un bronzo, ha abbracciato piangendo il suo coach Oren Smadja, medaglia d'oro a suo tempo. Suo figlio Omer è stato ucciso a Gaza.
Con messaggi sui telefoni, i cittadini vengono informati sull'indirizzo della fonte d'acqua più vicina, in caso sparisca dai rubinetti, e dove si trova il rifugio di quartiere. L'attacco di missili che a centinaia piombarono su Israele il 13 aprile in un'altra vendetta iraniana, fu neutralizzato sia con l'aiuto degli ottimi sistema di difesa sia con l'intervento degli F15 coadiuvati da forze americane a anche da una cauta e silenziosa coalizione internazionale, fiancheggiata anche da Paesi arabi moderati. Il danno fu minimo: il tempo che occorre dall'Iran a Israele per un missile, anche balistico, è di dieci minuti e oltre. Quindi per rendere più pericoloso l'attacco l'Iran vuole colpire dal Libano, dalla Siria, e ha formato un comando internazionale. Hamas ha poco ormai da offrirgli, semmai punta sulla quinta colonna nell'Autorita Palestinese, e infatti ieri a Tulkarem sono stati eliminati cinque terroristi che si dirigevano in auto verso il loro obiettivo. Si lavora adesso per consolidare la prospettiva di un robusto aiuto americano; Lloyd Austin ha informato, mentre dodici navi da guerra si dirigono in zona, che ci sono «cambi» nell'uso delle forze americane.
Biden cerca di evitare un'esplosione alla fine del suo complicato mandato. L'Iran è furioso, pericoloso come e più del solito: quando minaccia Israele finisce sempre, come per un dovere nevrotico, per promettere morte agli Usa e all'Occidente. Che sembrano rendersene conto, finalmente.
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.