Israele si prepara alla reazione inevitabile. Sinwar è solo, nascosto nei tunnel

La tensione dopo l'attentato dei giorni scorsi

Israele si prepara alla reazione inevitabile. Sinwar è solo, nascosto nei tunnel
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Non è piacevole stare fermi, in attesa di decisioni altrui che possono persino essere fatali. L'Iran convoca tutti i suoi proxy odiatori di Israele e dell'Occidente disegnando forse una guerra totale; o forse solo una vendetta digeribile. La Russia, che ha condannato con particolare senso dell'umorismo le eliminazioni mirate, segue sullo sfondo. Nasrallah promette che la risposta sarà tremenda. A Teheran il funerale di Haniyeh ha dimensione e toni apocalittici. Le promesse di distruzione le fa l'ayatollah Ali Khamenei: il capo terrorista palestinese appare quello che è, un suo comandante.

A Gerusalemme l'attesa è discussa, oggetto di battute al supermarket dove si compra qualche bottiglia d'acqua d'emergenza, senza drammi, si sospendono i viaggi, i campi estivi, si compra qualche scatoletta di tonno, la tv raccomanda ai cittadini di seguire gli ordini del «pikud ha oref», il fronte interno, state vicino ai rifugi se siete al Nord. Chissà se la reazione verrà da tutto l'arco delle forze iraniane e degli Hezbollah, ma qualcosa l'onore mediorientale ferito impone di fare. Israele però ha al suo fianco gli Stati Uniti, si ripete che la sua difesa antiaerea è la migliore, le sue forze aeree sono in perfetta salute come ha dimostrato l'operazione in Yemen, 2mila chilometri volati senza problemi per colpire l'obiettivo (Teheran ne dista 1.600). Lo stato d'animo, dopo Beirut e Teheran è rinfrancato, Israele torna capace di difendersi, capace di operazioni impossibili: si rivela finalmente che davvero Mohammed Deif è stato ucciso dall'esplosione di Gaza, Hamas è in pessime condizioni, la guerra disegna una vittoria, Sinwar è là sotto e se la vede male: i particolari dell'eliminazione di Haniyeh parlano di un'operazione con relazioni profonde nel regime iraniano.

La notizia definitiva su Deif segna un nodo simbolico conclusivo, come quello di Haniyeh. La leadership, i combattenti, le strutture, tutta Hamas è a pezzi. Haniye era ncaricato di renderla forza internazionale, base della nuova alleanza fra sunniti e sciiti, ambasciatore dell'odio antisemita, soddisfatto ospite di Putin. Ora senza di lui e senza l'architetto della strage del 7 ottobre, il comandante militare Deif, la primula rossa scampata sette morte alla morte, Sinwar ha perso la mano sinistra e la mano destra, l'ormai miliardario Mohammed in giacca e cravatta che dall'hotel a 5 stelle di Doha viaggiava al Cairo e a Mosca fingendo di gestire una trattativa sui poveri ostaggi, di fatto bloccandone ogni possibile scambio.

Israele ha di nuovo mostrato i suoi veri colori, questi 300 giorni di guerra di sopravvivenza hanno ancora una volta mostrato un Paese che se il 7 ottobre era stato visto dai suoi nemici come una vittima predestinata, adesso è pronto a affrontare lo scontro generale per salvare la sua prospettiva e quella dell'Occidente. Israele ha colpito Shukr a Beirut e Haniyeh a Teheran senza ferire le due città come avrebbe potuto: ha segnalato l'intenzione di concluderla qui, ma sa anche che il concetto di deterrenza non funziona quando l'indirizzo è quello dell'odio islamista. Iran, Libano, Siria, Yemen, per non parlare di Gaza e anche Ramallah, fanno tutti parte del primo cerchio di un immenso anello di fuoco che circonda lo Stato ebraico, e da 300 giorni compie da tutti i fronti prove di distruzione.

La realtà odierna suggerisce che dopo la morte di Deif e Haniyeh non si è più visto nemmeno un missile da Gaza. E i suoi alleati valutano in queste ore che cosa, come colpire: obiettivi militari? Obiettivi civili? Questi ultimi possono dare fuoco a tutte le polveri, e coinvolgere il mondo libero.

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