Issa, dalla Siria alla jihad. "Doveva essere espulso"

Strage di Solingen: il 26enne era in Germania dal 2022 grazie all'asilo. Nel 2023 il foglio di via

Issa, dalla Siria alla jihad. "Doveva essere espulso"
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È la storia di un fallimento quella dell'attentato jihadista alla Festa della diversità a Solingen dove, il 23 agosto scorso, il siriano Issa al Hassan ha mietuto tre morti e otto feriti con un coltello. A fallire è stata la Germania nella politica sull'immigrazione, nell'apparato di sicurezza, nel modello multiculturale. Al Hassan è un profugo di 26 anni che, nel 2022, è arrivato prima in Bulgaria dalla Siria devastata dalla guerra civile e poi in Germania.

A Bielefeld, il musulmano sunnita, che non è noto come islamista alle autorità tedesche, ha presentato domanda di asilo nel 2023, ottenendo la protezione sussidiaria. Una storia di immigrazione apparentemente normale, se come tante altre non fosse il prologo di una radicalizzazione e di un bagno di sangue, rivendicato dallo Stato islamico. Una storia di immigrazione che, come tante altre, mostra le falle della politica tedesca in materia di immigrazione, dove un approccio ideologico all'accoglienza si salda con i limiti delle autorità di sicurezza.

Secondo indiscrezioni del quotidiano Die Welt, Al Hassan avrebbe dovuto essere espulso nel 2023 da Paderborn, dove risiedeva in un ex caserma trasformata in struttura per profughi. Tuttavia, al siriano nato a Deir el-Zor è stato sufficiente rendersi irreperibile per sfuggire alla deportazione. Nelle more dell'elefantiaca burocrazia tedesca, l'attentatore è stato trasferito in un alloggio per profughi a Solingen. Nella città celebre per la produzione di lame, Al Hassan ha deciso di colpire i «cristiani» come «vendetta per i musulmani in Palestina e ovunque», secondo il comunicato con cui lo Stato islamico ha rivendicato la strage.

Questa è la versione dell'organizzazione terroristica che, abile nella comunicazione, si è più volte appropriata di attacchi commessi da lupi solitari del jihadismo per amplificare la paura. Al momento, non è noto il movente di Al Hassan, indagato dalla Procura generale federale per affiliazione allo Stato islamico in un momento imprecisato, triplice omicidio, tentato omicidio e lesioni pericolose in otto casi.

Quel che si sa è che l'attentatore è stato arrestato soltanto perché si è consegnato alla polizia, dopo una caccia all'uomo protrattasi per ore. «Sono io quello che cercate», ha dichiarato il siriano, ancora sporco di sangue, ad agenti di pattuglia nelle strade di Solingen, dove dopo la strage era stato proclamato lo stato di eccezione. È questo un altro fallimento della Germania, nel suo sistema di sicurezza che non è stato in grado di prevenire la minaccia né di catturare l'attentatore.

Come dimostra l'esperienza di altri Paesi, non è sempre possibile sventare gli attentati, ma in Germania a infittire la nebbia del jihad concorrono i limiti imposti all'azione delle autorità, dalle forze dell'ordine all'intelligence, per non ripetere gli orrori del nazismo. Armi spuntate di una democrazia che si celebra come «capace di difendersi», dove ora l'estrema destra cavalca la strage di Solingen.

«Tedeschi, liberatevi! Ponete fine alla multiculturalizzazione forzata!», ha scritto su X Björn Höcke di Alternativa per la Germania (Afd). Intanto, a Solingen sul lugo dell'attentato è stato deposto un mazzo di fiori con un biglietto che recita «Grazie Angela Merkel e Verdi», che all'immigrazione incontrollata hanno spalancato le frontiere tedesche.

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