La decisione del Tribunale civile di Roma di accogliere il ricorso per concorrenza sleale avanzato contro il gruppo Uber da alcune realtà sindacali dei taxi e del noleggio con conducente ci dice quanto la nostra cultura giuridica ed economica sia spesso un ostacolo allo sviluppo della società.
Il servizio che Uber offre ai clienti è uno dei più formidabili risultati delle innovazioni conseguenti alla rivoluzione telematica. Vent'anni fa nessuno poteva immaginare che con un telefonino fosse possibile operare versamenti, ordinare servizi e comprare libri. Per fortuna il mondo cambia e nuove opportunità vengono alla luce. Da noi più che altrove, però, è difficile superare quell'insieme di vincoli corporativi che trasformano i legittimi profitti in rendite di posizione.
È l'Italia dei notai e dei tassisti, naturalmente, che oggi sbarra la strada a Uber e a ogni altra modernizzazione, così come intralcia le corriere di Flixibus e presto è facile essere profeti creerà problemi ad Airbnb, come peraltro è già successo con varie decisioni assunte a livello locale.
È pure interessante rilevare che, se tra dieci giorni non potremo più usufruire dei servizi offertici da Uber (ma si spera che il governo intervenga e ponga rimedio), questo si dovrà anche al persistere di un'idea distorta della concorrenza, spesso utilizzata non già per aprire i mercati, ma per difendere invece quanti temono di perdere illegittime protezioni.
In effetti, cosa c'è di «sleale» nell'entrare in un mercato grazie a tecnologie inedite e a uno spirito imprenditoriale determinato a servire al meglio il prossimo? Nulla. È un po' la storia del bue che dà del cornuto all'asino, dato che sono proprio i tassisti che, fino a oggi, hanno potuto godere di una posizione privilegiata grazie al sistema delle licenze. Ora che abbiamo la fortuna di superare quell'impasse grazie ad alcune app, sono proprio i detentori di questa esclusiva (che è quanto vi è di più avverso al mercato...) a parlare di competizione sleale per difendere uno tra i sistemi più oligopolistici.
In realtà, non c'è nulla di «sleale» nel mettersi al servizio del pubblico, mentre è ingiusto comprare, anche a caro prezzo, una licenza
che autorizza a fare quello che è impedito ad altri, per poi pretendere che nessuno entri in quel settore.L'Italia dei taxi è l'Italia che affonda giorno dopo giorno. Speriamo che qualcuno se ne renda conto al più presto.
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