Jacinda Ardern, in questa fase storica, è il prodotto d'esportazione per eccellenza della Nuova Zelanda. Ha soppiantato All Blacks e danza Maori nell'immaginario collettivo di chi focalizza solo per qualche istante la nazione oceanica collocata agli antipodi. Ieri la 39enne leader laburista, e premier neozelandese, ha vinto le elezioni parlamentari. Ardern ha ottenuto il 49,1% dei consensi, un risultato storico influenzato anche dalla gestione dell'epidemia da Covid, considerata tra le migliori del mondo. Il principale movimento d'opposizione, il Partito Nazionale, di orientamento conservatore, si è fermato al 26,8%, e la sua leader Judith Collins ha ammesso la sconfitta.
Gli analisti di mezzo mondo si domandano che cosa abbia di speciale questa donna. La risposta corretta è racchiusa nelle parole dell'ex premier Helen Clark: «Jacinda è una persona talmente vicina ai cittadini da non voler fargli alcuna predica». L'ha dimostrato con il successo nella lotta al Covid. A fine marzo, quando stava per imporre il lockdown, Ardern ha parlato alla nazione da casa sua indossando una felpa consunta, spiegando di avere appena messo a letto la figlia Neve, fornendo indicazione per «prepararsi a resistere».
Nel bel mezzo di questa crisi, la premier ha adottato uno stile di governo improntato all'empatia. I suoi messaggi sono chiari e coerenti, ma risultano anche lucidi e consolatori. In controtendenza rispetto agli altri Paesi, la Nuova Zelanda sta vivendo un ritorno alla normalità. Il Paese, dove vivono cinque milioni di persone, aveva chiuso i confini il 19 marzo. La strategia della Ardern nel contenere l'epidemia è stata considerata esemplare dall'Organizzazione mondiale della sanità. Un risultato reso possibile, oltre che dalla geografia che rende semplice il controllo dei confini, dalla tempestività dei provvedimenti di lockdown. Ardern aveva annunciato severe misure di blocco già a marzo, quando risultavano solo un centinaio di casi e nemmeno un morto. Aveva proibito l'ingresso ai viaggiatori provenienti dalla Cina già all'inizio di febbraio, chiudendo le frontiere ai non residenti a metà marzo.
Tutto è iniziato il 27 ottobre del 2017, quando a 37 anni venne eletta primo ministro della Nuova Zelanda, diventando di fatto la più giovane donna a capo di un governo al mondo. A parte i titoloni dedicati alla conquista della consapevolezza femminile, erano in molti ad aspettare il suo primo passo falso e a chiedersi cosa avesse di così tanto speciale.
Quando poi l'anno dopo è diventata mamma della piccola Neve, i detrattori non si sono dati per vinti chiedendosi come avrebbe potuto conciliare le due cose. Il suo mandato è sempre stato in salita, ma il 15 marzo 2019 con la strage di Christchurch, dove sono state uccise 50 persone e oltre 40 ferite nell'attacco a due moschee cittadine, ha raggiunto un'acme inaspettata e potente. Tuttavia la premier è riuscita a gestire la situazione con provvedimenti importanti (rafforzando le leggi per restringere l'accesso alle armi semi-automatiche), ma soprattutto con un discorso a effetto che ha colpito i suoi connazionali. «Forse tu hai scelto noi, ma noi ti rifiutiamo e ti condanniamo completamente - ha detto riferendosi all'autore della strage - forse cercavi la notorietà ma in Nuova Zelanda non ti daremo nulla, neppure il tuo nome».
Il 19 dicembre dello scorso anno un'altra tragedia l'ha messa alla prova: l'eruzione del vulcano Whakaari, che ha provocato la morte di 21 turisti e le gravi ustioni di altrettanti. La premier il giorno dopo si è recata nell'isola per incontrare i soccorritori.
Le sue foto mentre abbraccia il personale impegnato nell'emergenza sono diventate virali. Il suo discorso in memoria della vittime ha commosso una nazione. Lo stesso popolo che ieri chiamato alle urne ha scelto di rafforzare la sua leadership.
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