Giuseppe Conte dà i numeri. E sono pure sbagliati. A furia di voler inseguire la disastrosa ricetta della Schleinomics che distruggerebbe l'economia italiana, il leader pentastellato si inventa giuslavorista: «Dobbiamo contrastare la precarietà e ritrovarci su un punto - dice l'ex premier al congresso della Cgil, strappando qualche applauso - tutto ciò che ha rappresentato e realizzato il Jobs Act è un fallimento, c'era stato venduto come lo strumento per introdurre e perseguire maggiore occupazione, stabilizzazione dei lavoratori e incrementi salariali, e invece...». Sicuro? «Non lo dico io - si schernisce subito Conte - lo dice Bankitalia, ha prodotto solo più guadagni per i datori di lavoro». La sua ricetta è «una soglia al salario minimo legale» lanciata dalla segretaria Pd e che invece il leader M5s rivendica come «una nostra vecchia battaglia, ripresentata a ogni legislatura». Peccato che lo studio del novembre 2022 che cita Conte «parla della riforma Sacconi del 2001, 15 anni prima del Jobs Act», twitta il responsabile economico di Azione - Italia Viva Luigi Marattin (nella foto). Possibile mai? Raggiunto al telefono conferma. In effetti a pagina 6 del paper The effects of partial employment protection reforms: evidence from Italy curato da Diego Daruich, Sabrina Di Addario e Raffaele Saggio si parla di empirical evaluation of a 2001 Italian reform (valutazione empirica della riforma del 2001, ndr), vale a dire quella di Maurizio Sacconi che si ispira al giuslavorista Marco Biagi, trucidato dalle Br il 19 marzo del 2002 a Bologna. «Se però Conte e la Cgil sono interessati agli studi sul Jobs Act, possono leggere quello dell'Inps. Dimostra che quella misura del governo Renzi fece aumentare sia le assunzioni a tempo indeterminato (del 50%), sia le stabilizzazioni, sia l'occupazione complessiva». Matteo Renzi raccoglie la gaffe al volo, sfrutta l'assist di Marattin e schiaccia in faccia a Conte, sempre con uno spietato cinguettio con l'hashtag #FakeNews: «Il #JobsAct ha creato più di un milione di posti di lavoro, la metà a tempo indeterminato. Sono dati ufficiali Istat. Giuseppe Conte nega i numeri: o non li ha letti o - più probabilmente - non li ha capiti».
Un dato cristallizzato anche nel nuovo volume della Fondazione Edison dal titolo Crescere non è impossibile, secondo cui «con Renzi e con Draghi c'è stato più Pil e più lavoro. Col Jobs Act, 1 milione e 270mila occupati in più. Con Draghi, 1 milione e 24mila in più».Game, set, match, direbbe Bankitalia.
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