Kamala, flop e polemiche. Lo staff: "Colpa di Biden"

La candidata si esprime dopo un lungo silenzio e invita i suoi ad accettare il voto. Fra i dem scatta il rimpallo di responsabilità

Kamala, flop e polemiche. Lo staff: "Colpa di Biden"
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A nulla è valsa la mobilitazione delle star politiche e dello show business, dagli Obama a Lady Gaga. Inutile anche il fattore età, la differenza di 18 anni - lei 60, lui 78 - con il rivale repubblicano, il candidato più anziano di sempre. Non ha fatto la differenza nemmeno il genere, che avrebbe potuto regalarle lo status di prima presidente donna degli Stati Uniti e invece l'ha probabilmente indebolita nel duello con «l'uomo forte». La speranza di una vittoria si è infine infranta di fronte all'amara constatazione di non aver guadagnato nemmeno una contea rispetto a Joe Biden nel 2020 e di aver registrato un flop soprattutto fra minoranze, neri e latinos, che hanno fatto la differenza a favore del rivale, il 47esimo presidente degli Stati Uniti, Donald Trump.

La notte amara di Kamala Harris - la vicepresidente grigia che è sbiadita definitivamente nella corsa persa per la Casa Bianca - è finita al momento dell'annuncio della sconfitta in Wisconsin, quando Trump è arrivato a quota 270, la metà dei Grandi elettori necessari per la conquista dell'incarico di leader più potente del mondo. Game over per la candidata presa per i capelli dal partito dopo il ritiro di Biden e gettata in una campagna elettorale di 106 giorni. E allora niente comizio per la nottata del flop. Alla fine Kamala ha parlato ai sostenitori solo nel day after dicendosi orgogliosa della corsa e chiedendo loro di accettare l'esito del voto: «Gli americani non devono lealtà al presidente, ma alla Costituzione», ha spiegato. «Riconosco la sconfitta ma continuerò a lottare sempre - ha promesso Harris - per i diritti e le libertà». «La luce della promessa dell'America splenderà sempre».

Il discorso è stato pronunciato solo diverse ore dopo la débâcle e ben dopo il discorso di Trump, che nel frattempo si è definito «il leader del più grande movimento politico di tutti i tempi» e ha promesso «un'età dell'oro». Sia lei che Biden hanno chiamato ieri il tycoon «per congratularsi della vittoria, discutere dell'importanza di un pacifico trasferimento di potere e chiedergli di essere presidente per tutti gli americani». Oggi Biden parlerà al Paese e ha già invitato Trump alla Casa Bianca.

Nonostante Harris abbia ringraziato il presidente uscente per il sostegno, secondo fonti della sua campagna elettorale, proprio Biden «ha grandi responsabilità nella sconfitta della Harris». La candidata dem non a caso in varie occasioni, invece che rivendicarne l'eredità, ha voluto marcare la necessità di voltare pagina. L'accusa dei suoi riguarda soprattutto la decisione del presidente di voler correre per la seconda volta nonostante l'età e la promessa mancata di passare la mano a Harris dopo il primo mandato. «Non avrebbe dovuto nascondere la sua salute e avrebbe dovuto ritirarsi molto prima», hanno spiegato i suoi.

Colpa di Harris o di Biden, il risultato è che Trump ha vinto il voto popolare e non solo quello dei Grandi elettori. Le minoranze, neri e latinos, su cui Harris ha sperato fino alla fine, si sono rivelate frammentate e molto più interessate a inflazione, sicurezza e lotta all'immigrazione clandestina che all'aborto di quanto credessero i dem. Per Michaelah Montgomery, attivista afroamericana pro-Trump in Georgia, dove l'onda per il leader repubblicano è montata fra gli afroamericani, «ai Democratici non importa niente dei neri, a meno che non siano morti o gay». Più complessa l'analisi di Gianluca Pastori, ricercatore Ispi e docente di Storia delle relazioni politiche Nord America-Europa all'Università Cattolica: «Il Partito democratico dovrebbe uscire dalla logica che i gruppi etnici votino compatti. Non è più così», ha spiegato a LaPresse. «Un ispano-americano integrato sarà sensibile all'immigrazione irregolare, perché pensa che tutti i latinos irregolari danneggino la sua immagine, quindi è possibile che apprezzi una politica più rigida e restrittiva nei confronti dell'immigrazione», ha aggiunto Pastori.

A pesare sul voto anche l'aspetto religioso: i latinos sono molto cattolici e antiabortisti e vedono in Trump una garanzia perché il divieto all'aborto venga esteso a livello federale. Anche per questo, per i dem è tempo di leccarsi le ferite e avviare un mea culpa o una resa dei conti fin qui rinviata per carità di voto.

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