Un nuovo capitolo nella guerra tra Mosca e Kiev si è aperto ieri, parafrasando il consigliere presidenziale ucraino Volodymyr Podolyak, dove i protagonisti sono gli Atacms. I missili a lungo raggio inviati dagli Stati Uniti, il cui utilizzo è stato confermato su Telegram da Volodymyr Zelensky, potrebbero cambiare il corso della battaglia, che ieri ha registrato l'attacco a due aeroporti occupati dai russi a Lugansk e Berdyansk, con decine di morti e un conflitto fra droni nella regione russa di Belgorod. Per mesi l'amministrazione di Joe Biden aveva resistito alle richieste del governo ucraino per la fornitura degli Atacms, capaci di trasportare bombe a grappolo ad una distanza fino a 300 chilometri. Il timore del presidente americano era che il loro impiego potesse portare a una escalation incontrollata del conflitto, specie se i vettori fossero stati usati per colpire il territorio russo. Ma evidentemente, dopo la visita del mese scorso di Zelensky a Washington, la Casa Bianca ha cambiato le sue valutazioni, forse a causa dei limitati progressi della tanto attesa controffensiva ucraina e per scongiurare una possibile nuova offensiva russa. «Saluto tutti coloro che lottano per l'Ucraina! Grazie a tutti coloro che aiutano! E oggi, un ringraziamento speciale agli Stati Uniti. I nostri accordi con il presidente Biden sono stati rispettati. Sono stati rispettati in modo molto accurato, gli Atacms hanno dato prova di sé», ha scritto Zelensky, mentre Podolyak ha specificato che Mosca dovrà riconoscere le condizioni sul terreno. «Non vi sono più luoghi sicuri per le truppe russe all'interno dei confini internazionalmente riconosciuti dell'Ucraina. Questo significa che a medio termine non si possono più tenere il sud, la Crimea e la flotta del Mar Nero. Il conto alla rovescia è già iniziato. Il contatore del gas e il petrolio sta ancora rinviando la fine. Ma questa è diventata da tempo inevitabile».
In totale Kiev ha usato i missili statunitensi per colpire nove elicotteri russi nell'Ucraina orientale, un sistema di difesa aerea, un deposito di munizioni e varie attrezzature negli aeroporti occupati. Ma oltre che sul campo di battaglia, ieri la guerra si è giocata anche sul tavolo diplomatico sull'asse Pechino-Mosca-Budapest-Islamabad, con un vertice fra Putin e Orban a margine del forum Belt and Road a Pechino e tra Putin e Xi. Da un lato il primo ministro ungherese ha rassicurato l'alleato di non aver mai voluto uno scontro con Mosca («al contrario, l'obiettivo dell'Ungheria è sempre stato quello di stabilire ed espandere i migliori contatti reciproci, e abbiamo avuto successo»). Dall'altro il presidente cinese ha definito il suo omologo russo un «amico», attestazione di stima che assume un valore ancora maggiore se si considera che questo è stato il primo viaggio del presidente russo dopo l'invasione dell'Ucraina nel febbraio del 2022. Xi ha sottolineato, una volta di più, che «le tendenze storiche verso la pace, lo sviluppo, la cooperazione e i guadagni reciproci sono incontenibili», come a voler lanciare un messaggio esterno di forte coesione alla voce cooperazione bilaterale e agenda internazionale. Putin ha colto l'occasione del forum cinese per rassicurare il primo ministro pakistano Anwaar-ul-Haq Kakar su un'altra formidabile arma di guerra come il grano.
«Siamo pronti ad adempiere ai nostri obblighi», ha detto il capo del Cremlino, ricordando che lo scorso anno la Russia ha registrato un raccolto record da 158 milioni di tonnellate di grano e che anche quest'anno il potenziale di esportazione sarà congruo «intorno ai 50-60 milioni di tonnellate».
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