Kiev-Washington. "Nuovi colloqui". Minerali per armi: Donald alza il tiro

Zelensky: "Col leader Usa per finire la guerra". Intelligence sospesa. Waltz: "Il blocco degli aiuti si può revocare". I media: terre rare, Trump vuole di più

Kiev-Washington. "Nuovi colloqui". Minerali per armi: Donald alza il tiro
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La situazione cambia con la stessa folle velocità con cui Donald Trump afferma tutto e il suo contrario ma, in fondo, c'è una logica per cui la trattativa per arrivare alla fine del conflitto in Ucraina viaggia con questo saliscendi di opportunità e ostacoli. Se nell'immediato post faccia a faccia alla Casa Bianca l'unico vincitore sembrava essere Vladimir Putin, al momento è Zelensky che potrebbe intestarsi un successo sempre considerando chi ha le carte in mano, le distribuisce e le maneggia a suo piacimento è e rimane Trump. Che vuole a tutti costi una vitoria. O anche più di una. E con le delegazioni di Kiev e Washington pronte a un nuovo vertice in tempi brevi.

«Stiamo preparando un piano step by step per arrivare a una pace giusta e che duri. Ci stiamo lavorando rapidamente», ha ribadito il leader ucraino Zelensky dopo aver cercato in tutti i modi di ricucire con Washington riconoscendo la «leadership di Trump» per una soluzione e aggiungendo di attendere risultati nel dialogo già dalla prossima settimana. E anche il tycoon si è rivelato più morbido verso quello che sembrava essere diventato il suo nemico giurato. Durante il suo discorso fiume dell'altra notte, il presidente americano ha detto che «Zelensky è pronto al tavolo per la pace e a firmare l'accordo sui minerali», dicendo di aver ricevuto anche una lettera (la cui esistenza è stata però smentita da Kiev) che certifica il tutto. Anche il consigliere per la sicurezza Mike Waltz apre spiegando che «se ci saranno progressi nei colloqui di pace e saranno adottate misure per rafforzare la fiducia, allora il presidente esaminerà attentamente la revoca della pausa agli aiuti a Kiev». Un ricatto in piena regola da parte di chi è più forte e meno coinvolto per alcuni, semplice e pura realpolitik, in cui si tratta sulla base di quello che si ha in mano e si vuole ottenere, per altri. Molte carte però sono già sul tavolo.

Zelensky vuole la fine della guerra di invasione che sta massacrando il suo Paese, cerca sponde ovunque e, soprattutto, vuole la garanzia che la Russia resti al suo posto anche dopo la fine del conflitto. Trump, vuole intestarsi il ruolo di pacificatore da Nobel e nel contempo, da business man qual è, vuole portare a casa un guadagno, anche di fronte a quell'opinione pubblica americana scottata da una crisi economica che non si aspettava. Ecco quindi il caso «terre rare», quei minerali che fanno gola agli Usa e di cui è ricca l'Ucraina, anche se estrazione e lavorazione non sono per nulla facili e richiederanno interventi costosissimi. Ma allo stesso tempo garantirebbero un presidio fisso americano in Ucraina, di fatto anti-Russia. Donald quindi alza la posta forte delle sue armi di ricatto. Come l'interruzione della condivisione di informazioni di intelligence con Kiev, confermato anche dal direttore della Cia John Ratcliffe che però parla di misura transitoria che presto potrebbe essere ripristinata, dando ulteriore conferma di una trattativa sul tavolo.

Mentre l'Europa procede in ordine sparso e il piano di riarmo e di difesa comune sembra ancora in alto mare, con la missione congiunta a Washington Zelensky-Starmer-Macron che è stata annunciata e smentita nel giro di un amen, chi rischia di restare con il cerino in mano è proprio Putin.

Non a caso il solito Medvedev dice di voler «infliggere al nemico il massimo della sconfitta sul terreno» mentre il Cremlino sposa con favore (chissà come mai) la proposta del presidente bielorusso Alexander Lukashenko, di ospitare colloqui di pace a Minsk, non esattamente un campo neutro su cui giocare. Ma intanto, si tratta. Piaccia o meno con la leadership di quel Trump che detta le regole.

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