Quando i finanzieri del Gico lo hanno sentito, hanno fatto un salto: Pino Caminiti, pregiudicato calabrese indagato e intercettato (e poi arrestato) nell'inchiesta sulle Curve di San Siro, faceva confidenze a un altro indagato. Parlava di un vecchio delitto, per cui era stato accusato, «ma quello non si prescrive mai». Faceva capire di esserne l'autore, e di provare rimorso: «Sono anche entrato in chiesa, questo rospo non mi va giù». Ieri Caminiti viene arrestato anche per quell'omicidio. A venire ammazzato, in una strada milanese, fu il 17 ottobre 1992 Fausto Borgioli detto Fabrizio", un pregiudicato di modesto livello ma con legami nel clan di Turatello. L'inchiesta era stata archiviata a opera di ignoti, qualche anno dopo il pentito Giorgio Tocci aveva indicato il mandante nel calabrese Salvatore Papandrea e l'esecutore in suo nipote Pino Caminiti. Motivo: Borgioli era sospettato di essere un confidente della polizia. Il giovane Caminiti, disse il pentito, era stato designato all'azione per «educarlo». Le accusa non trovarono riscontri, Papandrea e il nipote vennero archiviati. Ma ora è Caminiti, con le sue incaute confidenze intercettate dal Gico, ad autoaccusarsi. Insieme a Gherardo Zaccagni, passando sotto la casa di Borgioli, dice: «Qui ho fatto un danno, sono stato sverginato».
«Mi hanno accusato», dice, e poi la frase decisiva: «sono stato io». Per la Procura non c'è dubbio, il riferimento è all'assassinio di Borgioli, quello da cui Caminiti era stato prosciolto. Un errore giudiziario al contrario.
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