Mille 107 rimpatri nei primi tre mesi di quest'anno a fronte di oltre 27mila sbarchi. Due dati sbalorditivi quanto a sproporzione che fanno capire quanto siano spuntate le armi con cui il governo affronta il vertiginoso incremento degli arrivi. Anche perchè in sei mesi tutto è cambiato. Il flusso primario delle partenze si è spostato sulle coste della Tunisia. Quello libico si è ingrossato su un asse cirenaico dove l'apporto della Guardia Costiera di Tripoli è molto problematico. Mentre il tragico naufragio di Cutro ha evidenziato il ritorno in auge della rotta turca. Proprio la drammaticità di questi scenari, acuita dalla consueta indifferenza europea, hanno spinto la Presidente del Consiglio Giorgia Meloni a convocare la cabina di regia sull'immigrazione di ieri sera a Palazzo Chigi a cui hanno partecipato - oltre ai due vice premier Matteo Salvini e Antonio Tajani - il ministro dell'Interno Matteo Piantedosi e quello degli esteri Antonio Tajani. Al centro della riunione, a cui partecipavano anche i responsabili dei servizi segreti, c'era la valutazione di nuove forme d'intervento nei due punti caldi di Tunisia e Libia. Con particolare attenzione alla prima che rischia di collassare se il Fondo Monetario Internazionale non darà il via all'atteso piano d'aiuti. Un collasso seguito nelle previsioni da un inarrestabile esodo verso l'Italia. Giorgia Meloni ha fatto capire che sia gli Stati Uniti sia l'Unione Europea sembrerebbero disponibili a facilitare l'apertura degli urgentissimi finanziamenti al governo di Tunisi. Finanziamenti bloccati fin qui dalle perplessità sulla scarsa disponibilità del governo di Tunisi ad avviare concrete riforme istituzionali. Ma la presenza del ministro della Difesa Guido Crosetto fa pensare anche ad ipotesi per il rilancio di missioni navali in grado di garantire non solo il salvataggio dei migranti, ma anche la lotta ai trafficanti di uomini. Qualcosa che dia concretezza al progetto di una nuova missione europea evocato da Giorgia Meloni fin dalla presentazione del governo. In pratica una riedizione di quella Sophia cancellata nel 2019 che prevedeva anche l'intervento diretto sulle coste libiche per colpire i trafficanti di uomini e distruggere le loro infrastrutture e i loro barconi. Ma tutto è reso più complesso, oggi, dalla necessità di agire anche sul fronte tunisino dove gli arrivi dalla zona di Sfax sono sempre più numerosi. Una situazione che verrà discussa e affrontata nei prossimi giorni a Roma quando come ha fatto capire Giorgia Meloni il ministro degli Esteri tunisino, Nabil Ammar, incontrerà il ministro degli Esteri Antonio Tajani. Il ministro degli Interni Piantedosi si è invece concentrato sulla necessità di migliorare l'asfittica macchina dei rimpatri inceppata non solo dall'assenza di accordi con i paesi d'origine, ma anche dall'impossibilità di garantire la custodia di chi va rispedito in patria. Nell'ottica del ministro i Cpr (Centri di permanenza e rimpatrio) devono passare dagli attuali dieci - con una capienza di appena 1375 posti - ad uno per regione. Solo così si eviterà che i fogli di via diventino carta straccia. Una realtà evidenziata da dati al limite del surreale. Nel 2021 - a fronte di 5mila transiti nei dieci Cpr attivi - le espulsioni sono state appena 2.519 cioé meno del 50 per cento. Nel 2022 a fronte di 50mila fogli di via sono rientrati ai paesi d'origine appena 4447 irregolari. Ma Piantedosi insiste anche sulla necessità di agevolare i rimpatri consensuali garantendo incentivi economici ai migranti pronti a ritornare in patria autonomamente. Una misura giustificata dall'alto costo dei rimpatri forzati.
Dal 2018 al 2020 il rimpatrio con e senza scorta di 16mila stranieri è costato ben 27,4 milioni di euro. E le spese hanno subito un'ulteriore impennata nel 2020 quando la cifra complessiva sborsata per garantire tremila 351 rientri è stata di 8,3 milioni di euro con una media di 2500 euro a viaggio.
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