L'America ci spia ma non paga Expo

È di 26 milioni di dollari il buco lasciato dal Dipartimento di Stato per la realizzazione del padiglione a stelle e strisce a Milano

L'America ci spia ma non paga Expo

Milano - L'America ci spia e poi si fa pure bella all'Expo lasciando il conto da pagare. Mentre a casa nostra incalzano le polemiche sulle intercettazioni della Nsa ai danni del governo Berlusconi nel 2011, negli States la campagna elettorale per le presidenziali vede montare la polemica per il maxi buco da 26 milioni di dollari lasciato dal Dipartimento di Stato Usa ai privati che hanno contribuito alla realizzazione del padiglione a stelle e strisce nell'Expo 2015. Fornitori che hanno consegnato i lavori in tempo ma non sono stati ancora saldati. Le proteste sono state raccolte da Politico.com, il sito di informazione specializzato nella politica della Casa Bianca seguitissimo a Washington. E sono partite dalla Thinc Design, azienda di New York che fra le sue commesse conta anche il museo dedicato alla tragedia dell'11 settembre nella Grande Mela.

«Abbiamo fatto la nostra parte e ora ci sentiamo abbandonati», ha dichiarato il fondatore Tom Hennes che per l'Expo ha realizzato una passerella trasportandola da Coney Island a Milano e appeso i lampadari vegetali per decorare il padiglione. La fattura emessa? Un milione di dollari. Mai visti da mister Hennes.Nel mirino è finito soprattutto il Segretario di Stato, John Kerry, responsabile secondo l'accusa delle circa quaranta società non pagate perché anche se negli Stati Uniti non si possono utilizzare soldi pubblici per finanziare la manifestazione - è stato il Dipartimento a istituire nel 2013 la società no profit che ha gestito lo spazio milanese, la Amici del Padiglione Usa. «Una collaborazione tra la James Beard Foundation e l'International Culinary Center, in associazione con la Camera di Commercio Americana in Italia, la cui missione è concepire, progettare, raccogliere fondi e realizzare il Padiglione Usa e i relativi programmi a Expo Milano 2015 sotto gli auspici del Dipartimento di Stato americano», si legge ancora nel sito istituzionale di Expo. Lo stesso Kerry si era impegnato personalmente a promuovere una raccolta fondi fra i suoi alleati politici.

Il gruppo insomma era stato messo in piedi con la consapevolezza che il lavoro pesante sul fund raising sarebbe stato fatto ai «piani alti» come era già successo con l'allora segretario di Stato Hillary Clinton che per l'Expo di Shanghai del 2010 aveva tirato su oltre 60 milioni di dollari in soli nove mesi. Questa volta, invece, gli obiettivi di raccolta fra sponsor e donatori non sono stati raggiunti (finora sarebbero stati radunati solo 40 milioni di dollari per un budget del progetto che nel frattempo è lievitato a 60 milioni di dollari) e le fatture sono rimaste lì ad aspettare. Anche adesso che l'esposizione è finita.Tra le aziende esposte ci sono anche la svizzera Nussli, che deve rientrare di circa 14 milioni, Uvet e Simmetrico, che hanno curato logistica e interni, e devono incassare quasi 3 milioni di euro. Non solo. Secondo quanto riportato da Politico.com, gli americani dovrebbero ancora alla Expo spa più di un milione di dollari di affitto.

Nonostante gli oltre sei milioni di visitatori che hanno fatto del padiglione Usa uno dei più gettonati, dell'avventura americana all'Expo rimarranno nella memoria soprattutto le foto ricordo della visita della first lady Michelle Obama con figlie ma anche la gaffe dello stesso Kerry (quel «Che merdaviglia», sfuggito a ottobre commentando il record della pizza più lunga del mondo premiata durante l'esposizione). A Rho (e a New York) stanno, invece, aspettando ancora i dollaroni per archiviare le fatture.

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