L'amico travolto dai pm e mai abbandonato

Per i nemici anima nera, per il Cav era il fedele compagno, regista del boom del '94

L'amico travolto dai pm e mai abbandonato
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Per i suoi nemici era la carta coperta di Silvio, per lui l'amico di una vita, per tutti lo stratega della poderosa macchina di Publitalia '80. Se Berlusconi è stato divisivo, Marcello Dell'Utri ancora di più. Crocevia immancabile di sospetti, suggestioni avvelenate, processi, ma sempre al fianco di Berlusconi che non ha mai rinnegato un'amicizia così criticata e lo ha difeso con puntiglio in ogni occasione. Alla luce del sole.

Dell'Utri, classe 1941, arriva da Palermo, conosce Silvio, che ha 5 anni più di lui, alla facoltà di giurisprudenza di Milano, inizia presto a lavorare con lui come segretario, ha la sventura di portare ad Arcore Vittorio Mangano, lo stalliere più vivisezionato dalla magistratura e dal giornalismo d'inchiesta nella storia italiana, prepara con Berlusconi la discesa in campo nel '94; il rapporto fra i due non s'incrinerà mai, nemmeno davanti alle bufere giudiziarie. Forse, solo Fedele Confalonieri può vantare una vicinanza al Cavaliere così forte, anzi cominciata prima perché i Confalonieri abitavano vicino ai Berlusconi, nel quartiere milanese dell'Isola. Ma la parabola del braccio destro di Silvio è drammatica e arriva, dopo un procedimento interminabile - allungatosi per 18 anni dal rinvio a giudizio del '96 al verdetto finale del 2014 - alla condanna definitiva per concorso esterno in associazione mafiosa a 7 anni. Un'umiliazione per tutti e due, ma quasi più per Silvio: la pena inflitta a Marcello è un affronto alla sua storia. Per molti commentatori Berlusconi nascondeva un peccato originale, capitali mafiosi, e Dell'Utri era il depositario di quei segreti.

Ma Berlusconi capovolge quella lettura. Per la Cassazione Mangano era venuto nell'ambito di un patto di protezione con Cosa nostra raggiunto nel 1974. Fiction per il Cavaliere che ha più volte offerto una versione alternativa, ribadita anche ad Alan Friedman per My way: «Quando comprai la villa avevo bisogno di qualcuno che se ne occupasse e che fosse bravo con i cavalli, perché ne avevamo dieci o dodici nelle scuderie, cavalli da corsa che partecipavano anche a gare. Pubblicammo anche delle inserzioni ma non ci rispose nessuno. Fu allora che il mio assistente Marcello Dell'Utri si ricordò di una persona che a Palermo con i cavalli ci sapeva fare». Vittorio Mangano. Che, interpellato, si fiondò ad Arcore.

Il testamento premia una fedeltà

che ha retto a tutte le prove e disavventure giudiziarie, mai ostentata ma neppure nascosta: un sodalizio a prova di quell'ipocrisia tutta italiana, lontanissima invece dal temperamento battagliero e solare del Cavaliere.

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