Scelti con astuzia sapendo di andare a toccare il cuore e la mente d'Israele, sui teleschermi nelle ore del massimo ascolto serale, prima di cena, dopo 34 giorni di sofferenza e due di confusione assoluta sul tema degli ostaggi, un video della Jihad Islamica ha mostrato le facce sofferenti, emaciate, bianche, di Hannah Katzir, 77 anni, e del piccolo Yagil Yaakov, 12, rapito con i genitori e il fratello di 16 anni, ambedue di Nir Oz, uno dei kibbutz della strage.
Disseppelliti dalle gallerie li hanno fatto recitare la parte che gli faceva comodo. Probabilmente saranno liberati entro poche ore. Hanno parlato della sofferenza e del desiderio di tornare a casa, poi Hannah ha rimproverato Netanyahu come responsabile di tutto, e Yagil gli ha detto che sparando rischia la vita degli ostaggi e gli ha chiesto di fornire acqua, medicine. Poi il solito zombie mascherato ha annunciato che li vogliono liberare «quando ce ne saranno le condizioni». Due su 239, uno segnato dal tempo unito alla tortura, l'altro un bambino stravolto dalla pena, ambedue segnati dalla sofferenza, un messaggio scelto con cinica furbizia come per il copione film. Chiara l'intenzione di giocarsi gli ostaggi uno a uno, nel tempo lungo che può servire di fronte a una guerra che avanza con successo. La mossa della Jihad è legata alla paura, è provocata da un sommovimento generale, punta a segnalare agli americani la necessità di spingere per la tregua, come Biden vorrebbe. Ma è soprattutto un singulto dalle gallerie ormai assediate, dagli edifici ormai semidistrutti: la battaglia negli ultimi due giorni si è svolta dove hanno sede i depositi di armi, gli strumenti strategici, i locali dello stato maggiore di Hamas. L'esercito assedia l'ospedale indonesiano e quello di Shifa, sotto il quale ha sede il nido del ragno, la sede di Yehiye Sinwar. Tutti e venti gli ospedali di Gaza sembrano essere collocati sopra punti strategici dei 500 chilometri di gallerie. L'esercito si è mosso sulla base delle informazioni fornite dagli interrogatori dei terroristi presi dopo la strage, e Hamas sta subendo una sventola: i suoi ufficiali decimati, le quotidiane sconfitte sul campo, la fuga di decine di migliaia di gazawi con le bandiere bianche, adesso Hamas cerca di giocarla con l'unica ma potentissima arma che ha in mano: i rapiti.
Colpisce Israele nella sua insopportabile sofferenza, continua la tortura del 7 ottobre, spinge tramite Doha la tregua di cui ha bisogno in cambio di ostaggi. L'idea che Israele possa concedere 4 ore di tregua al giorno, in realtà non cambia molto e si aspettano altre novità. Le famiglie unite non spingono per tregue, chiedono solo di mettere i loro cari al primo posto. Sono ovunque: dalle piazze, dalle mura tempestate di foto, dai viaggi alla ricerca di solidarietà, chiedono di affrontare subito «achshav», la tragedia.
Hanno bimbi, genitori, nonni nelle mani dei macellai del Sabato nero, di cui non sanno più niente. Ieri sera hanno manifestato sotto casa di Netanyahu, cercando di entrare all'interno. Il premier diceva «non ci fermeremo», ora ripete «ci sarà una tregua solo se restituiranno i nostri rapiti».
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