Risiko Quirinale, "patto delle fronde" e il vero peso dei 58 delegati regionali

Un ruolo chiave per l'elezione del nuovo Capo dello Stato lo giocherà il partito che vuole blindare la legislatura

Risiko Quirinale, "patto delle fronde" e il vero peso dei 58 delegati regionali

La guerra per il Quirinale è ormai nel vivo. E un ruolo chiave lo giocherà il partito che vuole blindare la legislatura. Quelli, per capirci, che vorrebbero vedere sul Colle un capo dello Stato che resista a qualunque tentazione di voto anticipato. Non perché siano intimamente convinti che la stabilità è un bene, ci mancherebbe. Ma semplicemente perché al 2018 mancano ancora più di tre anni, una prospettiva di stipendio (e di pensione per molti) che tanti parlamentari non disdegnano, soprattutto quelli – e non sono pochi né nel Pd, né in Forza Italia, né tra i grillini post svolta dorotea – che temono di non essere rieletti.

Il vero patto che rischia di condizionare il voto per il Quirinale, dunque, più che quello del Nazareno rischia d'essere il Patto delle fronde. Di coloro che tra i democrat e gli azzurri sono da mesi alle prese con una vera e propria guerra di posizione nei confronti di Renzi da una parte e Berlusconi dall'altra. Un asse su cui – dopo la poco gradita svolta postdemocristiana del direttorio – potrebbero convergere anche un pezzo di fuoriusciti del M5S. Insomma, da qualche giorno il problema non è solo che D'Alema e Fitto sono in costante contatto – e contano circa 35 parlamentari a testa – ma pure che a questo gruppetto se ne potrebbero aggiungere altri, a partire dai grillini in libera uscita fino all'immancabile gruppo di insoddisfatti e franchi tiratori che ad ogni elezioni di presidente della Repubblica che si rispetti supera sempre le 75 unità.

In uno scenario tanto frastagliato, dunque, è molto probabile che un ruolo chiave lo giocheranno i delegati regionali. Il capo dello Stato, infatti, lo elegge il Parlamento in seduta comune (630 deputati più 320 senatori) insieme a 58 grandi elettori che «rappresentano» il territorio. Sono tre per ogni regione (salvo la Valle d'Aosta che ne ha uno) e vengono eletti dai Consigli regionali secondo una consuetudine che ne assegna due alla maggioranza e uno all'opposizione.

Ciò significa che su un totale di 58 al Pd ne andranno almeno 33 (il resto tra Forza Italia e Lega, che ne dovrebbe prendere 3 o 4). Il problema è che buona parte dei presidenti di regione a guida Pd non sono renziani. E quindi neanche i loro delegati. Che probabilmente si uniranno al Patto delle fronde.

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