L'asse Vienna-Budapest spacca l'Ue sui migranti. "Errori fatti in passato"

Stop di Austria, Ungheria, Slovenia, Croazia e Grecia. Kurz e Orbán: non li accoglieremo

L'asse Vienna-Budapest spacca l'Ue sui migranti. "Errori fatti in passato"

A poche ore dal G7, gli appelli all'accoglienza che arrivano da Bruxelles non smuovono gli Stati membri. Che non si fidano se a lanciarli è un'Unione Europea senza una strategia, senza un piano di azione comunitario di fronte alla potenziale crisi umanitaria afghana. Sotto gli occhi il plastico fallimento della riforma del trattato di Dublino e della solidarietà nella distribuzione dei migranti, rimasta lettera morta. I confini - di Grecia, Austria, Slovenia, Croazia, Ungheria - si chiudono sotto il peso dei distinguo su quante e quali persone accogliere tra quelle in fuga dall'Emirato islamico riconquistato dai talebani. Infatti, coloro che hanno collaborato con le forze internazionali e che sono sulle liste di evacuazione sono solo una minima parte degli almeno ventimila accalcati solo all'aeroporto di Kabul nel tentativo di fuggire. E intere famiglie premono alle frontiere chiuse del Pakistan e dell'Iran. Gli effetti rischiano di vedersi nei prossimi mesi sulle rotte verso l'Europa, dove si teme una nuova emergenza come quella del 2015 che tanto è costata alla Germania di Angela Merkel.

Le incognite sono il tempo e i numeri. E nell'incertezza sono i Paesi esterni - quelli di primo approdo e di attraversamento - a temere di restare di nuovo isolati. La Grecia, che ha finito il muro di 40 chilometri ai confini con la Turchia, ha ribadito il messaggio già recapitato anche ai piani alti di Bruxelles: il confine «rimarrà sicuro e impenetrabile», anche perché già sottoposto alla pressione endemica dei flussi dalla Turchia: «Nel caso in cui si aprisse un nuovo corridoio le reti di trafficanti cercheranno di portare altre nazionalità nel nostro paese oltre agli afghani», è l'analisi delle guardie di frontiera elleniche. Dal 2015 a oggi sono passati da qui 60 mila afghani, 40 mila dei quali vivono in Grecia. Per questo Ankara - che ospita già 4 milioni di siriani in virtù dell'accordo da 6 miliardi con l'Ue - resta l'interlocutore necessario per gestire un'eventuale crisi. Ma il presidente turco Recep Tayyip Erdogan ha chiarito che il Paese «non sarà il deposito» dell'Europa e, nella telefonata col presidente del consiglio europeo Charles Michel, che vanno sostenuti gli Stati limitrofi all'Afghanistan. Per rafforzare i pattugliamenti la guardia costiera turca ha aperto un altro centro di comando sul lago di Van, al confine con l'Iran.

Nel cuore dell'Europa, l'Austria guida il blocco degli ostili: il cancelliere Sebastian Kurz ieri ha ribadito con forza che il Paese non ospiterà altri afghani oltre ai 44mila già accolti, comunità più numerosa in rapporto agli abitanti dopo Iran, Pakistan e Svezia: «Non dobbiamo ripetere gli errori del 2015. La gente che esce dal Paese deve essere aiutata dagli Stati vicini. L'Ue deve proteggere le frontiere esterne. Abbiamo ancora grossi problemi con l'integrazione e siamo quindi contrari all'aggiunta» di altri profughi. Si è fatto sentire anche il presidente dell'Ungheria Viktor Orban: «Ci proteggeremo dalla crisi dei migranti».

Porte chiuse dalla Slovenia, che ha anche la presidenza di turno dell'Ue: «Non spetta a noi pagare per tutti quelli che fuggono nel mondo», ha detto il premier Janez Jansa innescando le polemiche. Gli ha risposto ieri il commissario agli Affari economici Paolo Gentiloni: «Non ha poteri decisionali di alcun tipo. E per accogliere i profughi in fuga non serve l'unanimità dell'Ue, si può decidere a maggioranza».

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