Nell'era dell'iper-comunicazione e della sovraesposizione mediatica può bastare una parola per dire tutto. O quanto meno se lo augurano i leader di partito impegnati in questa campagna elettorale scoppiata d'improvviso in piena estate, quasi come un fenomeno meteorologico estremo. Sarebbe interessante conoscere le basi teoriche che hanno ispirato creativi e spin doctor delle formazioni contendenti. Intanto chiamiamola strategia «uninominale» della propaganda politica, la fase minimale della persuasione, basata non più su concetti articolati o verbose circonlocuzioni. Ben venga il dono della sintesi per arrivare dritti al punto, non solo nel senso di percentuali nei sondaggi, nel tentativo di guadagnarsi il consenso degli indecisi.
L'ultimo ad avventurarsi nel territorio dell'ermetismo applicato alla cartellonistica è Enrico Letta. Il segretario del Pd ha deciso di affidarsi, sui nuovi manifesti in arrivo nelle grandi città, ad un evocativo «Scegli». Qualcuno obietterà che con l'attuale legge elettorale per il cittadino-elettore ci sia ben poco da scegliere, tra listini bloccati e seggi blindati. Ma la parola d'ordine - se ci è concesso, sempre che l'espressione dalle parti della sinistra non sia ritenuta troppo «di destra» - in questo caso si riferisce alla dicotomia rosso-nera (e guarda caso Letta è tifoso milanista...) in un mondo binario descritto dai democratici facendo ricorso a massicce dosi di semplificazione. Eccoli, quindi, i bivi tra cui orientarsi il fatidico 25 settembre: «Con Putin/Con l'Europa», «Discriminazioni/diritti», «Combustibili fossili/Energie rinnovabili», «Lavoro sottopagato/Salario minimo», «Più condoni per evasori/Meno tasse sul lavoro»... e via di accetta. Rosso o nero, insomma, fate il vostro gioco. Rien ne va plus. Più che una tornata elettorale, sembra un giro di roulette. Bisogna capire se l'azzardo piacerà alla platea dei simpatizzanti dem, così da garantire a Letta il rientro al gran casinò di Palazzo Chigi.
Dopotutto il Pd arriva buon terzo in questa corsa alla parola magica capace di conquistare anche l'elettore più smaliziato e assuefatto alle promesse elettorali. In principio era il verbo: Matteo Salvini ne ha individuato uno dal sapore mistico. «Credo», con diverse declinazioni pratiche. Certo, affidarsi a qualcun altro che nei prossimi cinque anni prenderà decisioni che impatteranno sulla nostra vita quotidiana non può che essere un atto di fede. E in cabina elettorale si è chiamati a fare un segno della croce, o no? Eppure c'è chi ha visto nel Credo del Capitano un rigurgito del comandamento fascista «Credere, obbedire, combattere».
È la prova che anche in politica una parola è troppa e due sono poche, ma soprattutto non mette al riparo dalle polemiche. Lo sa bene Giorgia Meloni, che sta passando le settimane che precedono il voto a schivare gli attacchi degli avversari. Lei ha scelto lo slogan «Pronti», come recitano i poster affissi per strada, infatti vista l'aria da tiro al bersaglio i Fratelli d'Italia dovrebbero farsi trovare pronti a parare ogni colpo.
Leader e candidati hanno ancora un mese di tempo per cercare la parola chiave che schiuda le porte del
Parlamento. Magari potersela cavare con un semplice «Votate(mi)!»... Gli italiani, invece, che di parole ne hanno ascoltate fin troppe, si accontenterebbero di mandare al governo qualcuno che finalmente mantenga la parola data.
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