«Potete chiedere a Mulè di evitare certe dichiarazioni? Perché se attacchi Truzzu posso capirlo, ma se parli di una presunta arroganza di Meloni non va proprio bene». Il difficile day after delle elezioni in Sardegna si apre con la maggioranza che si riunisce al secondo piano di Montecitorio per provare a serrare le fila e fare il punto sui prossimi appuntamenti elettorali. Il momento è delicato, perché le recriminazioni incrociate stanno alimentando - per quanto sotto traccia - tensioni nuove. Alla riunione partecipano Donzelli per Fdi, Calderoli e Locatelli per la Lega, Gasparri e Battistoni per Fi, De Poli per l'Udc e Colucci per Noi Moderati. I toni sono cordiali e distesi, ma il responsabile organizzativo di Fratelli d'Italia ci tiene a mettere nero su bianco che la presa di posizione dell'azzurro Mulè non è stata affatto gradita. Perché, è il senso del ragionamento, non è questo il momento di rimandare all'esterno l'immagine di una coalizione litigiosa. Tanto che Meloni, Salvini e Tajani buttano giù una nota congiunta: «Rimane una sconfitta sulla quale ragioneremo insieme per valutare i possibili errori. Continueremo a lavorare imparando dalle nostre sconfitte come dalle nostre vittorie».
Il non detto è che le elezioni sarde hanno allargato il solco tra Meloni e Salvini. La prima è sì consapevole che aver forzato su Truzzu non è stata la scelta giusta, ma resta comunque convinta che Lega e Partito sardo d'Azione hanno boicottato la corsa del candidato di Fdi con il voto disgiunto. Scenario che Crippa (nel fotino) rimanda al mittente. «L'errore è stato catapultare in Sardegna un candidato scelto da Roma senza ascoltare il territorio», dice in Transatlantico il vicesegretario del Carroccio. Che affonda: «Basta guardare i numeri per capire che il disgiunto lo hanno fatto anche molti elettori di Fdi». E ancora: «La coalizione va governata come faceva Berlusconi, perché uno può anche rivendicare un proprio candidato ma poi si devono avere uomini all'altezza come abbiamo noi in Veneto». Un riferimento non casuale, visto che la Lega è intenzionata a tornare a spingere sul terzo mandato per poter ricandidare Luca Zaia. Perché, dice Crippa, «permettere a chi ha il 70% dei consensi di correre alle elezioni è una questione di rispetto della volontà popolare».
Insomma, al di là delle dichiarazioni pubbliche, sottotraccia le incomprensioni si acuiscono. Ragion per cui si prova ad accelerare sui candidati ai prossimi appuntamenti amministrativi. Il primo è il 10 marzo, con le regionali in Abruzzo. E con il timore che l'uscente di Fdi Marsilio possa pagare il flop sardo, visto che i sondaggi riservati lo danno avanti di soli due punti. Poi, il 21 e 22 aprile si voterà in Basilicata, dove Forza Italia chiede da tempo la riconferma dell'uscente Bardi. Fdi e Lega fino a ieri frenavano, ma la giornata è stata convulsa e pare abbia portato novità.
A ora di cena, infatti, da Forza Italia si dava per imminente una nota congiunta che avrebbe formalizzato la candidatura di Bardi (Fi) in Basilicata, Cirio (Fi) in Piemonte, Tesei (Lega) in Umbria (dove si voterà a novembre), Schmidt al comune di Firenze e Poli Bortone a Lecce. Un comunicato su cui ci sarebbe il via libera di Salvini, convinto che la lezione sarda imponga di confermare l'uscente Bardi. Insomma, il leader della Lega avrebbe deciso di sbloccare il nodo della Basilicata su cui da settimane la maggioranza si arrovellava, ovviamente con un occhio alla riconferma di Tesei e sempre battendo sul terzo mandato per Zaia. La nota congiunta balla ore, ma a tarda sera ancora è ferma perché non c'è il via libera dei tre leader.
Cioè di Meloni, visto che a via della Scrofa smentiscono categoricamente la sola esistenza di un comunicato congiunto. Fdi, insomma, frena. «Ci vediamo l'11 giugno», dice Foti in Transatlantico. Come a rimandare gli accordi sulle candidature in Umbria e Veneto a dopo le elezioni Europee.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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