Sulle elezioni russe è tempo di dissonanze governative. «Quando un popolo vota ha sempre ragione, le elezioni fanno sempre bene sia quando uno le vince, sia quando uno le perde» dice Matteo Salvini. «Io quando le perdo cerco di capire dove ho sbagliato e come fare meglio la prossima volta. Ci sono state delle elezioni, prendiamo atto del voto dei cittadini russi, sperando che il 2024 sia l'anno della pace. Mi preoccupa che qualche leader europeo parli - come se fosse naturale - di esercito, di guerre, di militari da mandare a combattere perché la terza guerra mondiale è l'ultima cosa che voglio lasciare in eredità ai miei figli, mi riferisco evidentemente a Macron».
Le parole del leader della Lega arrivano a Bruxelles. Antonio Tajani ha appena iniziato la riunione con gli omologhi europei e la dichiarazione del collega di governo non è e certo accolta con entusiasmo. «Salvini ha detto il contrario di quello avevo detto fino a ieri a nome del governo» dice ai suoi. «Fino a prova contraria il responsabile della politica estera sono io». A quel punto Tajani, interpellato dai cronisti, decide di replicare. «Non ho nulla da aggiungere rispetto a quanto ho già detto», dice il vicepremier «le elezioni sono state caratterizzate da pressioni forti e anche violente. Navalny è stato escluso da queste elezioni con un omicidio, abbiamo visto le immagini dei soldati nelle urne, non mi sembra che sia un'elezione che rispetta i criteri che rispettiamo noi. La politica estera la fa il ministro degli Esteri».
È chiaro che l'uscita del leader leghista va letta in filigrana rispetto all'appuntamento di sabato prossimo a Roma, con i colleghi sovranisti del resto d'Europa ospitati dal Carroccio. L'imbarazzo, però nel governo e palpabile e risuona anche dalle parti di Palazzo Chigi, con Giorgia Meloni, che giovedì e venerdì sarà a Bruxelles per il Consiglio europeo di fine marzo. Da fonti di Fratelli d'Italia filtra il «dispiacere per un assist a un centrosinistra moribondo». La presidente del Consiglio, però, parlando ad Agorà smorza la polemica: «La posizione del governo è chiara. Il centrodestra è una maggioranza molto coesa e la chiarezza che abbiamo dimostrato in politica estera racconta di una maggioranza coesa. Il punto è sempre questo: non conta quanto il campo sia largo ma quanto abbia risposte chiare da dare ai cittadini e all'estero».
Dalla Lega arriva una precisazione: «In Russia hanno votato, non diamo un giudizio positivo o negativo del risultato, ne prendiamo atto e lavoriamo (spero tutti insieme) per il ritorno alla pace. Con una guerra in corso non c'è niente da festeggiare». Così come dallo staff del ministro delle Infrastrutture si fa sapere che «Salvini è determinato a evidenziare l'esigenza della pace, così come è stato fatto anche dal Papa. Una posizione in netta contraddizione con quella di Emmanuel Macron. Ma in aula non ci saranno sorprese».
Non mancano naturalmente stoccate e polemiche da parte dell'opposizione. Giuseppe Provenzano, responsabile Esteri del Pd, esprime la sua «solidarietà a Tajani, non dev'essere facile avere un omologo vicepresidente che non condanna i crimini di Putin e vede in queste elezioni russe una grande affermazione del popolo. Ma con queste posizioni il governo può mai essere credibile?». Mara Carfagna giudica «sconcertante il riconoscimento offerto da un vicepremier italiano alla rielezione farsa di Vladimir Putin».
Carlo Calenda ricorda che «la Russia è una dittatura e le elezioni sono una farsa. Punto». E Nicola Fratoianni di Alleanza Verdi Sinistra si dice tutt'altro che stupito delle parole di Salvini. «Quello che colpisce è che la presidente del Consiglio faccia finta di niente».
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