L'esempio di Adriano Olivetti e quello tedesco. Ecco dove i dipendenti hanno voce in capitolo

Giappone, Canada e Messico incoraggiano la redistribuzione dei profitti

L'esempio di Adriano Olivetti e quello tedesco. Ecco dove i dipendenti hanno voce in capitolo
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La partecipazione dei lavoratori alla gestione delle imprese e, in qualche misura, agli utili aziendali non è una novità assoluta per l'Italia. Dal 1943 al 1947 nelle fabbriche del Nord del Paese furono introdotti i consigli di gestione, una esplicita prescrizione corporativista della Repubblica sociale italiana che fu tenuta in vita fino alla «svolta di Salerno» quando il Pci, uscito dal governo, decise di seguire la strada della contrapposizione con il capitale attraverso le commissioni interne. L'unica azienda che mantenne il consiglio di gestione, ricostituendolo nel 1948, fino all'aprile 1971 (si sciolse a causa delle pressioni post-sessantottine; ndr) fu la Olivetti di Ivrea. Adriano Olivetti, imprenditore illuminato e sensibile alla questione sociale in tutte le sue declinazioni, aveva in gran conto sia il benessere che le opinioni dei suoi dipendenti.

Il Parlamento, e così pure le aziende, non hanno tuttavia mai attuato l'articolo 46 della Costituzione che regola i diritti dei lavoratori in relazione alla fissazione degli obiettivi d'impresa. Così, per trovare degli esempi di partecipazione occorre valicare i confini. L'esempio più noto è quello tedesco. Nel 1951 fu varata la legge sulla Mitbestimmung (letteralmente «co-determinazione», in senso lato compartecipazione) che si sostanza nella cosiddetta «governance duale». Accanto al consiglio di amministrazione è stato istituito il consiglio di sorveglianza nel quale siedono i rappresentanti dei lavoratori che hanno la possibilità di esprimere un parere sulle strategie aziendali, anche se è sempre il manager ad avere l'ultima parola.

In Francia, invece, nelle aziende con più di 50 dipendenti sono stati istituiti i comitati d'impresa che hanno una funzione differente da quella sindacale e contrattano organizzazione del lavoro e negoziano le retribuzioni relative ai dipendenti dello stabilimento (cioè la contrattazione di secondo livello). Nelle grandi imprese esistono anche i «comitati di gruppo» che offrono la possibilità di confrontarsi anche sulle strategie aziendali. Come nel caso della Germania, l'obiettivo è quello di diminuire la conflittualità interna considerata la tendenza della Cgt (l'equivalente transalpino della Cgil) a esasperare i confronti.

Discorso differente per quanto riguarda la partecipazione agli utili che ormai è una prassi anche in molte imprese italiane sotto forma di premio di produzione. Il Paese ad adottare una legislazione che rende obbligatorio riconoscere ai lavoratori una parte degli utili è stato il Messico, mentre il Canada è tra gli antesignani della detassazione dei premi aziendali corrisposti s in questa guisa. Anche in Giappone questa prassi ha una lunga storia che data a partire dagli anni '50. La difficile ricostruzione post-bellica e il timore di tensioni sociali indussero politica e aziende ad attuare politiche di distribuzione degli utili ai lavoratori.

Il concetto di «partecipazione agli utili», tuttavia, si può definire tale se e solo vi sia una legge ad hoc che regoli con precisione la quota di profitti da redistribuire. E, in effetti, questa non esiste nemmeno in Svezia, patria della socialdemocrazia contemporanea.

Senza la legge non si produce il diritto. Quindi, anche nel Paese più liberale del mondo, gli Stati Uniti (dove i dipendenti sono incentivato all'acquisto di azioni della propria azienda), c'è sempre una possibilità di scelta.

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