Letta stoppa i referendum ma sarà garantista con Renzi

Il segretario annuncia il "no" ai quesiti sulla giustizia. Ma oggi il Pd voterà a favore dell'ex premier su Open

Letta stoppa i referendum ma sarà garantista con Renzi

«Quando combattevamo noi due, tu avevi gli occhi di una tigre, eri feroce e devi farti tornare quegli occhi». La frase è di Rocky Balboa e Enrico Letta la cita per spiegare come dovranno essere i candidati alle politiche del 2023, «dagli occhi di tigre». L'idea è di vincere e non di pareggiare, dice il segretario al termine della direzione del Pd. Nelle parole è implicito il riferimento a Matteo Renzi, anch'egli cultore di Rocky. «Io ti spiezzo in due» giurano di avergli sentito dire prima che togliesse l'ossigeno al Conte bis, anche detto governo giallorosso.

Se il richiamo sia amichevole o no, si capirà oggi alle 18 nell'aula del Senato, quando i dem saranno chiamati a esprimersi sulla richiesta del leader di Italia viva di sollevare presso la Consulta un conflitto di attribuzioni contro i magistrati di Firenze che indagano sulla fondazione Open. La pattuglia di filo renziani, a partire dall'ex capogruppo Andrea Marcucci, vorrebbe votare a favore, insieme a coloro che forse non hanno «gli occhi di tigre» richiesti da Letta. Il riavvicinamento tra i due, oltre al pragmatismo neofrancese di Letta, farebbe il resto. Così i 5Stelle voterebbero da soli contro il senatore di Rignano: potrebbe persino far loro comodo.

La questione simboleggia la posizione del Pd sulla giustizia, in questo momento fronte caldo con M5S e con Azione di Calenda. Garantisti o forcaioli?, si potrebbe sintetizzare senza troppo zelo per le sfumature. Letta ha formalizzato il «no» all'abolizione di quella parte della legge Severino sull'incandidabilità e ineleggibilità di parlamentari e amministratori locali condannati per reati gravi e il «no» al referendum sulle limitazioni alla custodia cautelare.

Gli altri quesiti riguardano separazione delle carriere, tentativo di limitare le correnti del Csm e responsabilità civile dei magistrati. Secondo il segretario del Pd, questi tre temi saranno discussi e risolti in Parlamento, come dire che i giudici non saranno dati in pasto agli elettori. Chi vivrà vedrà, intanto è un modo per dire con i fatti quel che ha sostenuto a parole e cioè che l'alleanza con M5S non si tocca, anche se è evidente che l'egemonia (considerati anche i sondaggi) toccherebbe al Pd e non ai 5s. «Sono fiero dell'impegno del Pd in questi due anni, devo dire che questo lavoro l'abbiamo portato avanti con i nostri alleati e in particolare con il M5S» spiega Letta.

D'altra parte l'intesa ha svuotato i grillini e ingrassato il Pd, al punto da mettere in dubbio la solidità dei rapporti tra Letta e l'ex premier Giuseppe Conte. Per smentire dissidi dovuti a un presunto mancato incontro, Letta e Conte si sono sentiti al telefono e il segretario del Pd ha rilanciato il «salario minimo», tema caro ai cinque stelle. Resta il fatto che Letta occhieggi anche agli imprenditori, indicando come priorità «delega fiscale, concorrenza e appalti».

Una battaglia per l'egemonia, come pensano anche suoi compagni di partito, convinti che Letta punti a soppiantare lo stesso Draghi e a proporsi come premier. Il sostegno al governo ora è fuori discussione ma «questa maggioranza, irripetibile e faticosa, ma capace di dare importanti risultati per il Paese» è proprio «irripetibile».

Il foglio di via è per sovranisti e Matteo Salvini, che secondo Letta sarebbe irresponsabile nel mettere in discussione con il voto «contro il governo la logica di maggioranza».

I temi identitari del Pd spiegano l'abisso con la Lega: la legge Zan sull'omotransfobia e la legge per la cittadinanza dei migranti basata sullo ius soli (la nascita in territorio italiano) magari temperato. Niente lancia in resta sulla legge Bazoli sul fine vita: la convinzione del segretario dem è che serva un accordo in Parlamento. Amo sulla legge elettorale: «l'attuale è la peggiore di sempre». A buoni intenditori...

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