Per la gioia di Pablo Escobar, quest'anno la cocaina diventerà l'esportazione numero uno della Colombia, superando il petrolio. A dare la notizia è stata Bloomberg Economics, il servizio di ricerca macroeconomica integrale di Bloomberg che ha previsto il sorpasso della polvere bianca sull'oro nero nell'export colombiano entro fine 2023. «Stimiamo che i ricavi delle esportazioni di cocaina siano saliti a 17,1 miliardi di euro nel 2022, poco meno rispetto alle esportazioni di petrolio di 17,9 miliardi», spiega l'economista Felipe Hernandez, autore della ricerca. Quest'anno, però, nel primo semestre le esportazioni di oro nero a Bogotà hanno registrato un calo del 30 per cento, mentre la tendenza del commercio internazionale di polvere bianca colombiana è in costante aumento. Il sorpasso dunque non sorprende sia se guardiamo ai i dati che alle politiche del presidente Gustavo Petro.
A proposito di numeri, qualche giorno fa l'Ufficio delle Nazioni Unite contro la droga e il crimine, l'Undoc, ha pubblicato il rapporto sul monitoraggio dei territori con presenza di coltivazioni di coca in Colombia nel 2022. La superficie è passata da 204mila ettari nel 2021 a 230mila (+13 per cento) mentre la cocaina cloridrato è aumentata da 1.400 a 1.738 tonnellate, un +24 per cento che testimonia anche una maggiore produttività a parità di terreno occupato dai narcos. Dopo che gli Stati Uniti hanno sospeso il monitoraggio delle coltivazioni di coca, lo studio dell'Onu è il solo riferimento di analisi rimasto.
Stupisce invece non poco che, dati Onu alla mano, il 49 per cento della superficie coltivata a coca si trovi in zone che dovrebbero essere tutelate da un governo a parole ambientalista e di sinistra come quello di Petro come i parchi nazionali (il 21,5 per cento), le riserve indigene (il 18), le terre delle comunità afro-discendenti (il 4) e le riserve forestali (il 2). Ovviamente i raccolti sono maggiori nelle zone di confine con il Venezuela e con l'Ecuador. In piena emergenza il dipartimento di Putumayo, in Amazzonia, intorno ai comuni di di Puerto Guzmán, Puerto Caicedo e Puerto Leguízamo, dove nel 2022 l'aumento è stato del 77 per cento. Un boom dovuto al fatto che, alla frontiera con l'Ecuador, il fiume Putumayo conferisce «molta dinamica» allo scambio di droghe dei narcos che trafficano tra vari paesi latinoamericani, in primis il Brasile.
Fin qui i dati. Ma a influenzare il sorpasso della «polvere bianca» sull'«Oro Nero» sono anche stati i primi 13 mesi alla presidenza di Petro, che esattamente un anno fa aveva detto di fronte all'Assemblea Generale delle Nazioni Unite che «Il petrolio è molto più velenoso della cocaina, le cui foglie invece fanno parte della foresta amazzonica da proteggere». Dalle parole ai fatti il passo è breve visto che da allora Petro ha adottato una politica assai più indulgente in materia di droghe e rigidissima invece in merito al petrolio, tassando come non mai la benzina per la «gioia» dei colombiani.
Insomma il futuro secondo Petro sarà di gente strafatta ma che andrà a piedi, ironizzano a Bogotá. Ma Petro non è affatto isolato.
Dopo il Cile da ieri è a Cuba per partecipare al vertice G77+Cina e da domani sarà a New York per tornare a parlare all'Assemblea Generale Onu, forse per difendere il prodotto da esportazione a cui pare proprio tenga di più.
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